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  • Pur sembrandolo, quanto letto nelle note di Pier Giacomo, non mi sembra puro e semplice amore per la propria terra o nobile campanilismo, ci sarà anche questo, ma una neanche poco nascosta denuncia. Che noi pontini non abbiamo abbastanza capito lo splendore naturalistico nel quale viviamo è una verità conclamata, considerato che per scoprire come altri lontani e sensibili personaggi lo guardano e lo rappresentano, necessita che intervenga il “caso”. Grazie soprattutto a P.G. (e non credo soltanto per la carica che ha esercitato nell’APT) e altri pochi scrittori abbiamo certamente potuto crescere in consapevolezza, ma è un dato di fatto che la promozione del nostro territorio e le sue bellezze naturali è di tipo formale, rilegata cioè alla ritualità di qualche poster “istituzionale” o ai depliant turistici che qualche inutile Ente ci ammannisce in modo alluvionale, senza poi seguirne l’effetto. L’importante è stampare e ricevere il relativo contributo pubblico.
    Quello infatti che sostanzialmente manca a questo territorio è la “pratica” della cultura, è scoprire cosa era e cos’è questo luogo, i suoi valori naturalistici ma anche paesaggistici, com’è stato vissuto e come lo è oggi; e se come oggi lo si vive combacia con le sue caratteristiche e peculiarità storiche e antropologiche. O se invece le soffoca. Quelle “gobbe” dei lepini e quelle antiche paludi che hanno attirato l’attenzione del sensibile Alexander Ivanov, potrebbero essere anche per noi “opere d’arte”? O soltanto il fondale di un territorio condiviso nel quale noiosamente ogni mattino ci affrettiamo ad attraversarlo per non far tardi al lavoro prendendo multe per eccesso di velocità?
    Certo la bonifica del ventennio ci ha dato la possibilità di avere vaste aree coltivabili ed edificabili ma dobbiamo anche interrogarci sul perché, dopo soli ottant’anni, oggi sentiamo la necessità di rinaturalizzare il perimetro dei laghi costieri, di ridare valore paesaggistico ad una pianura affacciata sul mare con quel promontorio del Circeo che vi fa da portale.
    Come pensiamo al nostro territorio in riferimento al passato e com’erano le paludi pontine meravigliosamente descritte da Goethe prima come “un pestilento stagno” poi che “sono l’angolo più selvaggio e affascinante d’Europa” e infine che “non hanno poi quel triste aspetto con il quale sono descritte comunemente”; salvo capire come le avrebbe invece descritte un suo antico frequentatore, che da quegli insalubri acquitrini traeva sostentamento e in quelle paludi doveva anche abitare per intere stagioni, tra malaria, privazioni e difficoltà di ogni genere.
    Prendendo a “prestito” un passaggio del mio ultimo libro (PaeSaggi): Interessante in questo contesto richiamare l’intervento di Emilio Selvaggi nel convegno del 26 giugno 2010 sulle paludi Pontine organizzato dai coniugi Simoneschi nel loro “Podere Feronia” a Pontinia (LT), quando riferendosi agli effetti della bonificazione pontina del ventennio, poneva l’accento sulle ragioni dei “vinti” (terracinesi che traevano sostentamento dalle paludi) rispetto a quelle dei “vincitori” (bonificatori) che come sempre sono gli scriba della storia. In realtà l’argomento sarebbe molto più complesso, dovendo ragionare in termini di sfruttamento delle risorse, di salute, di benessere sociale ed economico collettivo, da sposare con la conservazione dell’ambiente naturale e i valori antropologi di un territorio. Un discorso quello di Selvaggi culturalmente e storicamente giustificato e che ci riporta (e parte) agli inizi del XVI secolo, quando proprio i terracinesi (Terracina-Anxur) contribuirono con le loro rivendicazioni al fallimento della bonifica di Leonardo voluta da Leone X. Allora le ragioni di quegli abitanti si contrapponevano a quelle dei potenti; più di quattrocento anni dopo, quelle stesse ragioni avevano perso peso economico e sociale ma andavano comunque tenute in maggiore considerazione: solo da poco abbiamo maturato l’idea che la costituzione di un Parco (Circeo) deve comprendere anche la “conservazione dell’uomo”. Quanto alla storia della bonifica del ventennio, non sono certo che sia mai stata obiettivamente scritta prescindendo dalla politica (di propaganda, sminuimento o condanna che fosse).
    Forse sono uscito “fuori tema” rispetto all’incipit di P.G., ma in fondo anche questo è un modo di “praticare” la cultura, raccogliere cioè una poco celata denuncia, trasformarla in provocazione e spaziare con la mente.

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