17 Gennaio, 2022 - Nessun Commento

IL RESTAURO DELL’EX ERGASTOLO DI SANTO STEFANO SARA’ INTITOLATO A DAVID SASSOLI

sassoli1Sarà intitolato a David Sassoli il Progetto Ventotene per il recupero del carcere di Santo Stefano. La proposta, lanciata nelle scorse ore dalla Commissaria straordinaria del Governo Silvia Costa d’intesa con il Ministro della Cultura Dario Franceschini, è stata accolta con favore dal Premier Mario Draghi che ha sottolineato come “la morte di David Sassoli rappresenti una grande perdita per l’Italia e per l’Europa intera. I tributi che gli sono stati rivolti riflettono la profondità del suo impegno a favore di una Europa più unita e più libera, come nelle intenzioni dei padri fondatori.” Per queste ragioni il Premier condivide “pienamente la proposta di intitolargli il Progetto Ventotene-Santo Stefano, per una Scuola di Alti pensieri in un luogo a lui molto caro. Sarà – conclude Draghi – un modo per tracciare una linea ideale con il passato, tra due momenti di rinascita del progetto europeo, di cui David Sassoli è stato
appassionato protagonista”.

Il Progetto per il recupero dell’ex carcere di Santo Stefano, ha dichiarato Dario Franceschini, “è una iniziativa ambiziosa a cui guarda tutta Europa. Il valore di quei luoghi deve essere considerato per l’alto significato simbolico, è lì che è nata l’idea più rivoluzionaria dei nostri tempi: l’Europa federale. Ed è giusto oggi intitolare questo progetto a David che con il suo impegno politico e civico è stato in tutto il suo percorso di vita un interprete profondo dello spirito del Manifesto di Ventotene”.

“David Sassoli – ha evidenziato la Commissaria Costa nella sua proposta al Presidente del Consiglio – ha saputo interpretare con garbo e determinazione quella sintesi che Lei ha molto bene espresso in Parlamento di ‘idealità e mediazione’ alla luce dei suoi saldi valori cattolico democratici e delle sue forti istanze di solidarietà, giustizia sociale, partecipazione civica e dialogo. Sono certa che la testimonianza e l’esempio di Sassoli resteranno anche nel cuore di tanti giovani che ci stanno inviando toccanti messaggi e che in questi anni lo hanno sentito vicino e attento alle loro richieste. Considero significativo e pertinente quindi che il Governo gli intitoli il Progetto Ventotene-Santo Stefano per una ‘Scuola di Alti pensieri’ che accolga tutte le migliori esperienze formative sui diritti umani, la dignità della persona, la giustizia, la solidarietà, il ruolo della cultura e della sostenibilità per la costruzione della libertà, della democrazia e della solidarietà in Europa e nel Mediterraneo.”

Silvia Costa ha ricordato in particolare le parole che David Sassoli ha rivolto da Bruxelles il 17 settembre 2020 durante l’iniziativa da Lei promossa proprio a Ventotene con le istituzioni locali e le amministrazioni sottoscrittrici del Progetto: “Il carcere di Santo Stefano e l’isola di Ventotene costituiscono dei capisaldi della nostra storia, punti di riferimento… il passaggio di tanti protagonisti della vita della Repubblica italiana: Sandro Pertini, Umberto Terracini, Rocco Pugliese, uomini coraggiosi considerati scomodi, dissidenti politici, persone che hanno fatto della resistenza al fascismo una delle loro battaglie, sono stati costretti a
trascorrere parte delle loro vite in questo carcere, molti addirittura le loro ultime ore. Il valore del carcere di Santo Stefano deve essere quindi considerato per il suo alto significato simbolico. Il patrimonio culturale è una parte importante della nostra identità comune. Il vostro progetto va proprio in questa direzione, ha il nostro sostegno e contribuisce a rafforzare quel senso di cittadinanza europea che proprio sugli scogli di Ventotene ha posto le sue fondamenta. E’ lì che abbiamo avuto uomini e donne che hanno immaginato, per noi, un futuro diverso. Non dobbiamo dimenticare che questa è stata una terra di ispirazione per tutti coloro che consideriamo i nostri padri fondatori e le loro parole sono ora, più che mai, attuali”.

11 Gennaio, 2022 - Nessun Commento

MINTURNO, LINEA GUSTAV, 1943 ATTACCO INGLESE A UN FORTINO TEDESCO

MINTURNO. PILLBOX PRESSO TEATRO ROMANO MINTURNO. TOBRUK SUL GARIGLIANO31 Dicembre 1943, terminale sud della Linea Gustav, località: rovine di Minturnae, limite il fiume Garigliano. Sulla riva sinistra (campana) stanno le forze alleate anglo-franco-americane; sulla riva destra, sui colli e le aspre montagne tra Minturno, Castelforte ed Esperia, sono asserragliati i tedeschi. La lunghezza della Linea dà un’idea precisa della imponenza dello schieramento invernale germanico e della altrettanto robusta linea offensiva degli Alleati che stanno risalendo la penisola dopo lo sbarco di luglio 1943 in Sicilia. La vastità del teatro di battaglia invernale, che nel Lazio ha il suo fulcro nella stretta di Cassino-Montecassino sulla Casilina verso Roma, non è sempre una gigantesca battaglia che quotidianamente coinvolge decine di migliaia di uomini, centinaia di migliaia di colpi di cannone, in un strage continua; essa, piuttosto, è la raffigurazione di una serie di piccole battaglie locali. Il concetto di “piccole” non esclude la ferocia dei combattimenti tra unità (compagnie, plotoni, addirittura singole postazioni) e una dimostrazione di questa ferocia emerge in tutta la sua brutalità nella descrizione di un “assaggio” che gli Inglesi operarono nella notte del 30 dicembre nell’area di Minturnae, il cui teatro romano, con la sua possente struttura semicircolare e la cavea che faceva da muro di difesa, concorse a divenire protagonista dell’attacco notturno. Gli Inglesi volevano saggiare la capacità di resistenza tedesca e appuntarono la loro attenzione su un fortino circolare, modello Tobruk, che i tedeschi  presidiavano, appunto, nella zona della antichissima città romana. L’infaticabile cercatore di notizie sulla guerra nel Lazio, Lorenzo Tonioli, mi ha cortesemente messo a disposizione questo documento, che mi rievoca lo scenario di guerra nel quale è ambientata anche la storia del retro-ammiraglio americano Michael Angelo Musmanno, uno dei primissimi cittadini onorari di Minturno (febbraio 1945), e del quale ho curato per il Comune di Minturno il racconto delle sue vicende, del ferimento, del gesto di
coraggio che gli valse anche la medaglia d’argento al Valor Militare conferitagli dallo Stato Italiano nel 1951. Ecco il racconto di quell’azione di ricognizione inglese , così come è stata raccolta dalle parole di un Prigioniero tedesco. Da notare che non si rende noto il nome del Prigioniero, per non esporlo a punizioni da parte dei suoi comandanti. Egli viene, perciò, citato sempre e solo come “il Prigioniero”.

“Nella notte del 30 dicembre 1943, il Prigioniero si portò nei pressi del fortino eretto su uno dei due attacchi di un ponte sul Garigliano (n.d.r.: dice esattamente “di un ponte”, evidentemente senza specificare se si tratti del ponte che consente all’Appia di scavalcare il fiume, o del ponte Real Ferdinando inaugurato nell’Ottocento dai Borboni). Il Prigioniero doveva assumere il servizio di nuovo comandante del fortino. Il comandante che doveva
essere rilevato insieme alla sua truppa il giorno successivo (31 dicembre) iniziò a dargli le istruzioni da eseguire come capo unità, la missione, gli obiettivi e così via. Cosicché vi erano contemporaneamente due capi-postazione nel fortino e  con essi tre componenti della truppa. Il Prigioniero raccontò che anche  un altro capo-postazione si trovava poco più a sud, pronto a dare il cambio il giorno dopo ad un altro capo-postazione. Attorno alle ore 22 i Britannici lanciarono un fuoco di artiglieria. Il Prigioniero commentò che malgrado il fortino ricevesse diversi colpi, che scossero molto i suoi occupanti, la postazione non venne demolita. E perciò lui si sentì relativamente al sicuro. Ma ammise anche che il fuoco di sbarramento gli provocò una forte tensione nervosa. E disse che non si sentì di biasimare le truppe tedesche che erano schierate sul lato occidentale del fiume, quando decisero di ritirarsi in un posto meno esposto. Ma osservò anche che se quelle truppe non si fossero ritirate, gli Inglesi non avrebbero avuto la possibilità di avanzare in quella direzione e raggiungere il suo appostamento con un rapido movimento in avanti. Quando il fuoco nemico si arrestò iniziò un intenso fuoco nella parte orientale del fiume. Dal rumore e dalla intensità del fuoco, egli dedusse che il plotone di punta britannico si stava battendo  molto bene.

“Alle 4 del mattino tutto il suo settore fu illuminato da razzi. Nella chiara luce poté vedere alcuni uomini correre dentro e fuori le rovine di un  teatro romano a circa  70 metri. Ma non seppe distinguere se fossero amici o avversari. Nel frattempo, gli uomini della postazione erano stati raggiunti da un caporale dei genieri, che era venuto dal suo posto lungo il fiume, dove era in servizio d trasporto sul fiume insieme con un piccolo distaccamento. Per tutta la notte nel fortino proseguirono frenetiche discussioni su quale sarebbe stato il corso dell’attacco; ,e tuttavia, giacché ognuno di noi era confuso e spaventato, la discussione non portò altro che un chiacchierìo eccitato e agitato. Dall’ingresso del fortino, il Prigioniero notò improvvisamente un gruppo di uomini – circa un centinaio, stimò – che spuntavano dall’erba da sud ed avanzavano rapidi  verso le rovine del
teatro. Questa avanzata fu condotta in pieno silenzio, che faceva contrasto coi rumori che provenivano dal teatro pochi minuti dopo. Il Prigioniero raccontò che quello che accadde subito dopo fu come un gioco fantastico,  con figure nere che si spostavano in tutte le direzioni alla luce dei razzi, col suono degli spari che si mescolava alla musica delle cornamuse. Il Prigoniero disse che nelle pause del fuoco poté osservare che i soldati britannici si spostavano lungo la strada principale (n.d.r. l’Appia antica o moderna?) silenziosi grazie alle loro scarpe con le suole di gomma. E osservò che ciò era in netto contrasto con il rumore degli scarponi che aveva sentito quando ,
prima dell’attacco, i soldati Germanici i erano mossi dentro o nelle vicinanze del teatro. Un gruppo di soldati Britannici mosse verso il fortino e gli occupanti si accovacciarono per cercare di immaginare un
via di fuga. Il prigioniero sbloccò una delle due aperture ma poté a stento sporgere la testa. Il comandante cessante decise di aprire il fuoco con una machine-pistol. La caricò, sparò un caricatore, poi urlò per avere altre munizioni, e non realizzò che aveva cinque caricatori a portata di mano, accanto a sé. Il Prigioniero mostrava coraggio e sparò due sventagliate con la sua machine-pistol, fino a quando non si accorse che il caricamento si era boccato, forse per un difetto nel meccanismo. I Britannici che avanzavano sventagliarono con una mitragliatrice dentro il fortino, uccidendo il comandante cessante e un uomo della truppa. Muovendo verso l’apertura del fortino, il Prigioniero vide alcuni soldati Britannici che si spostavano verso un riparo dal lato indifendibile del fortino. Il Prigioniero si accovacciò presso l’apertura, che era stata lasciata libera nella speranza di poter fuggire in quella direzione, sebbene in quel momento non fosse pensabile alcun movimento. Un soldato britannico si avvicinò e scaricò il suo mitra dentro il fortino. Nel buio egli appoggiò involontariamente  la sua arma contro la coscia del Prigioniero. Il tedesco, terrorizzato, rimase immobile.
“In questo frattempo, gli uomini che erano al riparo erano così confusi che quando fu lanciata una granata fumogena attraverso una delle feritoie, si arresero immediatamente ad un ordine di resa. I tedeschi vennero condotti al teatro e subito dopo al fiume. Essi avrebbero dovuto attraversare a nuoto il fiume – “era una pericolosa avventura”, sottolineò il Prigioniero, “a causa degli ostacoli creati dai resti delle passerella demolite”-. Raggiunta l’altra sponda del fiume, i Tedeschi aprirono un fuoco di artiglieria. Il Prigioniero rilevò che durante il fuoco i soldati britannici si gettavano sempre al suolo, mentre i prigionieri germanici restavano in piedi. Così il Prigioniero spiegò che la lunga esperienza fatta nel ricevere colpi di artiglieria aveva loro insegnato a valutarne la direzione e l’impatto.

“La sicurezza nella esecuzione e il fatto che venivano impiegati uomini scelti per lo scopo assegnato, avevano reso il raid notturno un successo”, fu il commento del Prigioniero. Parlò con rispetto per l’uso delle suole di gomma, per le baionette, per l’affumicamento dei visi, e via dicendo, e per la potenza di fuoco delle armi automatiche leggere. Disse che si sentiva obbligato a paragonare queste scelte con l’inadeguatezza della difesa tedesca  in questo settore. Le posizioni, ad esempio, erano troppo avanzate, il comando centrale era carente e non erano stati seminati campi di mine. Prima dell’attacco britannico, disse, lui e gli altri uomini nel fortino avevano discusso “il ridicolo sistema di difesa”. Gli altri prigionieri condivisero il pensiero che l’attacco aveva colto tutti di sorpresa in ogni zona del settore”.

(in foto PLANIMETRIA DEL FORTINO e IL FORTINO PRESSO MINTURNAE)

31 Dicembre, 2021 - Nessun Commento

I PIATTI CHE HANNO FATTO L’ITALIA
DI CIACCIO ANCORA AI FORNELLI

 

 

di ciccioSe vi capitasse di sedere al tavolo di un ristorante e vi presentassero un menu di oltre duecento pagine, con circa trecento ricette, probabilmente vi perdereste in questa scelta oceanica e vi affidereste alle proposte del cameriere. A me è capitato di avere tra le mani il terzo libro (o forse il quarto?) che Bruno Di Ciaccio ha dedicato alla cucina e alle ricette di tutta Italia (stavolta il libro è dedicato ai “Piatti che hanno fatto l’Italia”, editore Cuzzolin) e non mi sono perso affatto. Al contrario mi è venuta una gran voglia di sperimentare almeno un centinaio delle ricette regionali descritte, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, alla Sardegna. Ho anche provato – con risultati, in verità, assai modesti, che hanno notevolmente abbassato l’autostima per le mie presunte qualità di aspirante-cuoco (senza stelle) – a confezionare un “Timballo di Bonifacio VIII” (piatto ciociaro?), per una mia personale simpatia per il pontefice dannato da Dante, ma costruttore della grande Famiglia dei Caetani/Gaetani, e le mie ambizioni culinarie si sono infrante in esso. Ciò non vuol dire che non riproverò con qualcosa di più semplice, magari con spaghetti a cacio e pepe, perché Bruno Di Ciaccio accompagna ogni ricetta con una bella fotografia che invoglia e con l’indicazione di tutte le materie, gli ingredienti e i quantitativi che occorrono per realizzare i singoli piatti.

Tutto questo per dire che per la terza (o forse la quarta?) volta esprimo la mia personale gratitudine (per quello che conta) a Bruno di Ciaccio, per questa sua nuova fatica gastronomico-letteraria, con la quale, molto simpaticamente, ha ricostruito l’unità d’Italia dalla frammentazione delle cucine regionali e addirittura locali. E deve essere stato davvero un gustoso e gradevole sacrificio per lui la cui madrepatria è quella Gaeta nella quale si compì il destino dell’Italia unita nel 1861. Quelli la realizzarono a cannonate, lui ‘ha realizzata con gusto e sapienza.

 

di ciccio

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