31 Ottobre, 2022 - Nessun Commento

4/LATINA E L’AGRO PONTINO TRA GUERRA E DOPOGUERRA LE PRIME ELEZIONI E IL REFERENDUM ISTITUZIONALE

di Pier Giacomo Sottoriva

Il salto politico si ha con le prime elezioni amministrative dopo la caduta del fascismo. Si svolgono tra la primavera e l’autunno del 1946, frazionate in più turni per poter consentire alla forza pubblica di garantire che tutto si svolga tranquillamente. C’è una grande novità: il voto diventa universale: sono, difatti, ammessi a votare tutti i maggiorenni, incluse le donne, che vengono chiamate per la prima volta ad esprimersi. L’altro grande passaggio avviene il 2 giugno 1946, quando viene indetto il referendum istituzionale, che porta all’affermazione dell’Italia repubblicana, alla caduta della monarchia; e alle contemporanee elezioni per la scelta dei Deputati Costituenti, con il compito di elaborare un testo costituzionale. Saranno così bravi da consegnarlo entro la fine del 1946, sicché il Capo provvisorio dello Stato potrà promulgarlo in modo che dal 1° gennaio 1947 esso diventi la Carta fondamentale della nuova Repubblica italiana. Esso è ancora oggi un modello di legge democratica, di illuminata visione, ne viene persino curata una revisione che la renda chiara e comprensibile a tutti. Il suo confronto con alcune leggi moderne è impietoso per queste ultime.

Alle prime amministrative di Latina si afferma, con un exploit inatteso, il Partito Repubblicano che esprime il primo sindaco elettivo nella persona del ragioniere Fernando Bassoli (v. il recente libro di , un romagnolo che amministra una cooperativa di Carpi. Intanto si era chiusa l’altra polemica, quella legata al nome Littoria e alla persistenza della Provincia di Littoria. Il primo problema si era risolto quando la Deputazione provinciale aveva deliberato, a fine gennaio 1945, di esprimere al Governo il parere favorevole al cambio del nome da Littoria in Latina (in realtà, il Governo Bonomi aveva già cominciato a chiamarla Latinia nell’autunno del 1944, e Mussolini aveva fatto giungere la sua protesta irritata); il nome venne cambiato con decreto dell’aprile 1945. Più complessa era stata la discussione sulla Provincia: c’erano volute riunioni, come si è detto, votazioni, le posizioni erano contrapposte, in nome di una posizione nuova che rifiutava l’identificazione degli eventi della bonifica con il fascismo, e ne attribuiva, invece, il merito alle forze lavoratrici che avevano operato in condizioni di gravissimo disagio in palude, conquistandola alla produttività e all’insediamento a costo di molti morti di malaria e per incidenti. La situazione era stata complicata da un movimento di opinione abbastanza diffuso nel sud, da cui era giunta la richiesta di staccarsi dalla provincia nata nel 1934 e di aggregarsi a Cassino (già nel 1944). Prevarrà il mantenimento, ma i nuovi organi elettivi provinciali arriveranno solo nel 1951.

A combattere la originaria denominazione e la istituzione provinciale sono soprattutto le forze di sinistra, che mobilitano riunioni varie, una delle quali si pronunzia anche a maggioranza per la soppressione della provincia. Ma c’è anche opposizione al cambiamento, che trova comprensibile alimento nella stessa genesi della città e nella composizione del corpo sociale, che ormai rifiuta nella sua stragrande maggioranza il fascismo, ma che ancor di più rifiuta il comunismo e le posizioni che vengono sostenute dai comunisti.

I partiti e le prime conflittualità

La lotta politica assume subito connotati precisi. Gli Alleati – che restituiranno la piena potestà di governo agli organi italiani nell’agosto del 1944 – non vogliono avere a che fare con le forze della sinistra e in special modo con i comunisti, per cui danno una serie di direttive e di regole per neutralizzare questo timore. Viene, così, stabilito che:

– prefetti, sindaci e assessori possano essere nominati solo con l’assenso del AMG; e di conseguenza il PCI, dopo il “governo di Salerno”, resta fuori da ogni ipotesi governativa anche locale, tranne dove sono maggioranza

– vengono rastrellati e sequestrati a privati tutti i depositi di armi abbandonate dagli eserciti e recuperate. Si teme che possano servire a qualche rivolta

– le manifestazioni pubbliche di protesta vengono represse con azioni dure, che provocano morti e feriti: sono le celebri “cariche” della Celere, le squadre di intervento della PS, che fanno anche ricorso alle armi. (Più avanti nel tempo, 1954, il governo Scelba escluderà da contributi pubblici tutte le iniziative della sinistra e revocherà le concessioni di edifici ex fascisti alle aggregazioni comuniste e socialiste)

– i comizi vengono rigorosamente seguiti e registrati dalla forza pubblica. A questa serie di norme restrittive si aggiungerà nel 1949 la scomunica dei comunisti proclamata da Papa Pio XII. Più in là nel tempo (primi anni Cinquanta), gli Usa dichiareranno attraverso l’ambasciatrice in Italia Clara Booth Luce (1953-1956) che non daranno aiuti alle imprese nel cui interno operano sindacati comunisti (la Cgil aveva assunto una propria autonomia organizzativa e di denominazione staccandosi quasi subito dalla Cisl, sindacato unitario). La neonata Tv non ospiterà alcun membro dell’opposizione (si dovrà attendere il 1962 per avere una trasmissione, Tribuna politica, aperta a tutti).

Dal canto suo, il Pci, e in genere la sinistra con esso solidale (nelle elezioni generali del 1948 si forma il Blocco del Popolo che raccoglie comunisti e socialisti, sotto il simbolo di Garibaldi) utilizzano in Provincia due strumenti:

– i cosiddetti “scioperi a rovescio”, che consistevano nel presentarsi in un cantiere di lavoro che i ritardi governativi frenavano o rallentavano ed iniziarvi i lavori, malgrado i divieti imposti dalla amministrazione, assistita dalla forza pubblica o dalla Prefettura.

Essi furono la causa di tafferugli, blocco della circolazione, arresti. Se ne ebbero soprattutto sui monti Lepini

– l’invasione e l’occupazione di terre incolte o di terre coltivate appartenenti a latifondisti, e la richiesta di massicce redistribuzioni di terra a cooperative e a contadini.

Oltre al Pci e in parte al Psiup, poi Psi, un altro partito viene collocato nella lista degli osservati speciali, il MSI, fondato da ex fascisti nel 1947. La nascita del neofascismo viene accettata in nome del nuovo spirito democratico che si coglie dalla Costituzione, ma si vuole nel contempo evitare qualsiasi iniziativa che possa ripetere i metodi repressivi fascisti. Da qui nascono indagini e denunce, alle quali si accompagnano episodi di vario tenore che tendono ad evidenziare la persistenza di un nucleo di “nostalgici”, come vengono chiamati. Dalle carte della Prefettura emergono episodi che oggi sembrano curiosi: a Borgo Grappa viene celebrata una messa in memoria di Mussolini; presso le Case Popolari dell’odierno Quartiere Nicolosi di Latina si svolgono indagini su canti fascisti ivi eseguiti; appaiono scritte sui muri inneggianti al duce o al passato regime; riappaiono distintivi e persino cravatte, fazzoletti e cappelli che rievocano il fascismo, per cui se ne vieta l’uso in pubbliche riunioni. Si registra, infine, la prima gita a Predappio organizzata dalla Federazione pontina del Msi, che viene prima vietata come “visita a Predappio”, dove sono tornate le spoglie del duce, e poi ammessa come “pellegrinaggio” generico, senza riferimenti.

Questa azione di controllo si intensifica in vista delle elezioni del 18 aprile 1948, che dovrebbero segnare lo spartiacque tra la definitiva messa al bando del pericolo di una rivoluzione bolscevica. La vittoria della DC fuga i timori, ed avvia più sereni orizzonti anche per la convivenza locale. La Provincia viene gratificata dal neo premier e capo della Democrazia Cristiana vittoriosa alle elezioni: Alcide De Gasperi trascorre a Formia, presso il Grand Hotel Miramare alcuni giorni di riposo dopo le elezioni. (4.continua)

19 Ottobre, 2022 - Nessun Commento

3/LATINA E L’AGRO PONTINO: DALLA GUERRA AL DOPOGUERRA LA VITA CIVILE NELL’IMMEDIATO DOPOGUERRA. CENNI

di Pier Giacomo Sottoriva

 Il ritorno alla vita civile organizzata e dignitosa passò attraverso il rientro degli sfollati e il drammatico problema di trovare per loro un alloggio, attesi i gravi danni alle abitazioni civili. Alla ricerca di un pur precario rifugio, si accettano condizioni di promiscuità, di sovraffollamento, di approssimazione, di mancanza d'acqua e degli strumenti minimi per osservare l’igiene individuale e collettiva. Non esiste riservatezza in quella vita. Si vive come si può e dove si può, nella gran parte dei casi. Si occupano, così, a Latina il ricovero antiaereo detto di S. Maria Goretti (un “ricovero” per modo di dire: era un fabbricato come gli altri, senza alcuna difesa potenziata); i locali di Palazzo M, gli edifici della ex-Gil mai ultimati, abitazioni private ancora non raggiunte dai legittimi proprietari. A via Montesanto viene creata una baraccopoli, che sarà smantellata, e con proteste, solo nel 1954. La zona attorno a Campo Boario subisce una straordinaria fioritura di costruzioni provvisorie di ogni genere, e si merita l’appellativo di Shangai, che l’ha accompagnata per  molti anni. A profughi e sfollati locali, si aggiungono poi i profughi dalla Venezia Giulia e dall’Istria e Dalmazia del “Grande Esodo”: vengono ospitati in un Centro Raccolta Profughi nelle caserme dell’ex 82° reggimento Fanteria “Roma”. Si organizza una soluzione dignitosa e nel tempo sorgerà Villaggio Trieste, oggi demolito e sostituito da edifici dell’IACP. Lo stesso accade in ex caserme di Gaeta, ad iniziare dalla Caserma Cosenz.

Mancano l’energia elettrica, l’acqua, i generi alimentari: la carta annonaria funziona fino alla fine del 1945; manca il vestiario. Partiranno, però, presto dei piani di aiuto: la Pontificia Opera Assistenziale – POA – del Vaticano, manda camion pieni di materiali essenziali acquistati all’estero; poi arriveranno il Piano Marshall o Piano Erp (Enterprise Resource Planning), e l’Unrra Casas, un Comitato per la ricostruzione di case per i senza tetto. La vicina Cisterna poté beneficiare di una decina di casette donate dall’allora sindaco italo-americano di New York, Fiorello La Guardia, e sono durate fino ad anni recenti.

Si assiste ad una quasi separazione tra Latina città (che acquisì questo nome nel 1945) e la sua area rurale: nei borghi si costituisce un Comitato di difesa dei diritti della campagna, che lamenta l’abbandono totale. La città cerca di riordinarsi: si improvvisa, si compilano le domande dei danni di guerra, si cerca un qualsiasi lavoro. Ed è una ricerca che sottolinea il paradosso che si afferma tra le tante occasioni per lavorare che la ricostruzione richiede e i ritardi nel ricevere i finanziamenti per ripristinare opere pubbliche attraverso i cantieri di lavoro (strade, ponti, ferrovie, edifici pubblici, scuole, case). Il problema dell’alimentazione oscilla tra carenze oggettive, ammassi forzati che vengono evasi, la borsa nera che impone prezzi elevati ma è l’unica a funzionare bene, anche se i salari, quando esistono, sono insufficienti. E, intanto, si mette in moto il meccanismo dell’aumento dei prezzi, dell’inflazione, che aggiunge disagi e ostacoli.

La politica

Ma la vita non si arresta e la politica tenta di introdurre un principio d’ordine e di organizzazione e si arricchisce di una serie di fatti, uomini, eventi. La struttura portante è affidata alle Prefetture, e questo è un lascito alleato che mantiene il telaio della burocrazia fascista per non distruggere quel poco di organizzazione che ancora esiste; l’epurazione non lascia strascichi (amnistia promossa dal Ministro della Giustizia del Governo unitario, Palmiro Togliatti, comunista), sembra come se nessuno sia stato fascista o collaborazionista. I primi tentativi di nuova politica si hanno col CLN e i partiti che si organizzano. Divenendo da strutture nascoste e clandestine, punti di riferimento (v. Archivio di Stato di Latina, La nascita dei partiti politici). Alla fine del 1944, secondo relazioni dei Carabinieri e della Questura, risultano attivi: il PCI con oltre 3000 iscritti; il Psiup, oltre 2000; la DC circa 1200; Democrazia del Lavoro 800; PLI 500; Partito d’Azione 400; PRI 148. E nasce un nuovo vocabolario: da plutocrazia, gerarchia, razze, si passa a proletariato, borghesia, capitalismo; esplode presto la contrapposizione tra comunisti e socialisti da una parte e democrazia cristiana, dall’altra. Nasce una serie di polemiche sulla sorte di Littoria e della sua Provincia, sul nome stesso di Littoria, sui rapporti tra Prefettura e Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, sui sindaci da nominare o da eleggere. A quest’ultimo proposito, va ricordato che la riorganizzazione istituzionale inizia con un decreto luogotenenziale del 4 aprile 1944, che reintroduce la figura del sindaco eletto in luogo del podestà nominato, e la prima organizzazione pubblica di nuovo conio: l’abbandono della figura del Capo della Provincia, sostituito in  attesa della nuova Costituzione, da Deputazioni provinciali nominate dal Prefetto, ma approvate dal governo militare alleato (AMG), mentre i sindaci sono nominati direttamente dal governo militare alleato. E ci si prepara alla nuova esperienza delle elezioni democratiche, sancite dal Decreto legislativo del gennaio 1946, che dispone che gli organi amministrativi locali vengono definiti su base elettiva. Intanto, però, si litiga tra il Prefetto che deve obbedire agli impulsi del governo militare alleato, CPLN (Comitato provinciale di liberazione nazionale) e partiti, che rivendicano una funzione non solo consultiva nella scelta degli amministratori da nominare. I documenti testimoniano queste scaramucce. (3/ continua)

 

11 Ottobre, 2022 - Nessun Commento

2/LATINA E L’AGRO PONTINO DALLA GUERRA AL DOPOGUERRA
LA GUERRA IN CASA

di Pier Giacomo Sottoriva

La città di Littoria aveva vissuto direttamente la guerra a partire dal 1943 con i primi bombardamenti che avevano distrutto l’aeroporto militare costruito da meno di cinque anni, e sicuramente vecchio dal punto di vista militare. Era accaduto nell’estate di quello stesso anno. Dalla notte del 22 gennaio 1944, dopo lo sbarco alleato ad Anzio e Nettuno, Littoria divenne, invece, zona di prima linea. Il 24 gennaio, alle porte del capoluogo avvenne una strage di civili a Prato Cesarino (Cisterna), quando un carro armato alleato aveva aperto il fuoco contro il Podere dei Salaro e aveva ucciso tredici persone e provocato molti feriti (lo ricorda Mauro Nasi in un suo saggio).

Il 25 gennaio Littoria aveva contato i primi morti causati dall’artiglieria navale alleata. Una testimonianza diretta, anche se parziale, di quei mesi è rappresentata dal Diario di guerra dei Salesiani, rimasto a lungo testimone muto, poi citato anche dal sottoscritto, e infine analiticamente presentato e pubblicato dallo studioso Clemente Ciammaruconi. Dopo lo sfondamento del fronte, alle ore 14.30 del 25 maggio 1944 erano entrati a Littoria prima pattuglie di Americani con qualche carro armato, poi gli Inglesi. Il 30 maggio i Tedeschi lasciavano la provincia di Littoria, dopo una violenta resistenza combattuta a Cisterna in una battaglia durata tre giorni.

La guerra lasciava strascichi penosi nella Provincia “cara al duce” circa 7 mila morti, oltre 10.000 feriti; otto comuni distrutti per più dell’80 per cento delle costruzioni, altri 8 severamente danneggiati, 60 mila vani civili distrutti o inabitabili in questi 16 Comuni; 23 mila delle 43 mila abitazioni annientate o danneggiate, infrastrutture civili e reti di comunicazione interamente da ricostruire (Relazione Ballerini, Camera di Commercio). La morte, poi, da bellica divenne post-bellica, grazie a tutto quello che la guerra abbandonò: ordigni di ogni genere ancora mortalmente efficienti, soprattutto le mine, a terra e in mare (la bonifica delle mine rimase operativa fino ai primi anni Sessanta del Novecento, ma la scoperta di ordigni ancora micidiali è cosa anche degli anni Duemila).

Era riapparsa la malaria dall’agosto 1942, ed aveva colpito quasi tutta la provincia marittima, incluse Formia, Gaeta, Minturno. Secondo una relazione del 1950, la malaria aveva colpito il 95 per cento della popolazione. Il Consorzio antimalarico riaprì 38 ambulatori, poi il 7 marzo 1946 si cominciò a trattare i focolai malarici con un nuovo e potente mezzo, il Ddt (Dicloro Difenil Tricloroetano) che si sarebbe dimostrato efficace contro la  zanzara Anopheles. La prima sperimentazione massiccia venne effettuata con piccoli aerei sulla Piana di Fondi (F. Snowden, La conquista della malaria). I danni della recrudescenza malarica nel triennio 1944-46, furono calcolati in 3.164,3 milioni di lire a valori d’epoca, qualcosa come 83 milioni di euro a valori odierni, per mancate giornate lavorative, ridotta efficienza e spese varie (dai pipistrelli al DDT). Una carta dell’Opera Nazionale Combattenti riferita alla sola area di bonifica, parla di 5966 ettari minati, di 299 poderi distrutti, di 507 fortemente danneggiati e di 954 “solo” danneggiati.

Altri consuntivi raccontano di 10.468 ettari di superficie allagata per due anni (1944-45), 12.259 ettari di territorio provinciale minati e improduttivi per tre anni, 4.205 vani rurali distrutti e più di 8.000 danneggiati; 71 mila metri cubi di stalle e magazzini distrutti e circa 100 mila danneggiati; il 50 per cento dei macchinari agricoli o dei mezzi di trazione distrutti. Oltre 6.500 ettari di superficie boschiva furono distrutti o danneggiati, e l’agricoltura accusò anche la perdita totale di 8,5 milioni di viti, e parziale di altri 4 milioni; 220 mila olivi perduti e 150 mila danneggiati, 600 mila alberature diverse distrutte o danneggiate. E ancora, con riferimento alle scorte vive perdute: 47.491 bovini, l’83,4% del patrimonio anteguerra; 6495 equini, 59.303 ovini, 11.000 suini. Queste cifre furono esposte dall’ing Ballerini, presidente della Camera di Commercio del dopoguerra; mentre in una relazione dattiloscritta del Consorzio di Bonifica di Latina (prima che prendesse il nome di Consorzio di Bonifica dell’Agro Pontino, oggi Consorzio di Bonifica Lazio sud ovest) si annotano i seguenti danni alle opere di bonifica: messo fuori uso il 50 per cento degli impianti idrovori distrutti o gravemente danneggiati; 30 ponti in cemento armato dovettero essere rimessi a nuovo o ricostruiti. Nel conto dei danni entra anche la perdita di diserbatrici dei canali, la rottura di foci, la distruzione di argini di fiumi, il sabotaggio di paratie e di macchine idrovore (dalla grande idrovora di Mazzocchio (i nuovissimi motori della più grande delle Idrovore, Mazzocchio, erano stati smontati e stavano viaggiando verso la Germania, quando il merci che li trasferiva venne bloccato alla frontiera, dove rimase fino a fine guerra: e le macchine furono recuperate) i Tedeschi asportarono i potenti motori che, fortunatamente, furono ritrovati su un treno merci bloccato prima del confine). Potremmo, insomma, chiamare questi dati l’altra faccia, la faccia “bellica” della bonifica fascista.(2/continua)

Pagine:«1...13141516171819...142»