LA VIA APPIA PONTINA PATRIMONIO DELL’UNESCO?
Tredici Comuni della Provincia di Latina (Cisterna di Latina, Latina, Sezze, Pontinia, Sabaudia, Priverno, Terracina, Monte San Biagio, Fondi, Itri, Gaeta, Formia e Minturno) hanno deciso di riunirsi in un Comitato per il riconoscimento della via Appia Pontina come area di particolare interesse culturale, invocandone il riconoscimento come bene dell’Umanità da salvaguardare. E’ una iniziativa che non può non meritare un plauso, almeno da parte di chi conosce la via Appia, da Cisterna (Le Castella) al fiume Garigliano. Si tratta di circa 106 chilometri, dai confini nord di Cisterna (Le Castella, km 49,4) al fiume Garigliano (km 155) che segna i confini con la provincia di Caserta.
Lungo questo percorso esistono segni del passato, a volte modesti ma pur sempre significativi, a volte di grande importanza storica e monumentale (il mausoleo di Nerva, la tomba detta di Cicerone, la città aurunca di Minturnae) che sono, praticamente, dei “fantasmi” per l’occhio disattento o non allenato a riconoscere le cose belle.
Soltanto pochi di essi sono riconosciuti e riconoscibili, mentre la maggior parte scompare dietro la mera sconoscenza o dietro le città che li ospitano o gli ostacoli che li nascondono: un guard-rail, un muro, alberi, erba e vegetazione spontanee che li ricoprono.
Ma la stessa via Appia, in sé, sia come manufatto, sia come percorso storico è un monumento a cielo aperto le cui caratteristiche viarie e monumentali vanno sempre più e meglio rivelandosi, sia per un rinvenimento casuale, sia per uno specifico progetto di restituzione.
Negli ultimi anni, infatti, sono stati riscoperti (anche se ne era ben nota l’ubicazione) tratti lunghi o brevi tracciati. Tra essi merita un cenno sicuramente prioritario il tratto della via Appia romana, conservato in modo pressoché integro, all’inizio delle c.d. “gole di S.Andrea”, che iniziano dove la pianura di Fondi diventa collina e cede la sua pacifica regolarità alle erte volute che i dislivelli compiono, fino al cimitero di Itri.
Si tratta di un segmento di qualche chilometro, abbandonato perché troppo erto, a favore di quelle curve che oggi smorzano l’asperità della salita (o la velocità della discesa) tra Fondi e Itri e che furono nei secoli scorsi anche teatro di agguati briganteschi (l’ultimo fu, addirittura, compiuto nell’immediato dopoguerra, a danni di un’attrice a quei tempi molto nota, Mirella Lotti). L’Appia romana scorre lungo il fianco della collina dirimpettaia, che si
inerpica senza pietà e che all’epoca delle bighe e delle carrozze aveva un senso, mentre successivamente perse quel senso, anche per chiari motivi militari (tanto che nel canalone che divide le due colline fu piazzato un posto fisso borbonico che si oppose, invano, ai Piemontesi e non solo ad essi.
Ma oltre a questo autentico monumento che rivela tutta l’ autorità” dei costruttori di strade romane (l’Appia fu la prima strada lastricata interamente da Roma a Capua, sostituendosi, così, ai fondi stradali in terra battuta), ma l’Appia è ricca anche di “modernità”, come i pochi residui segnali miliari di fine Settecento, fatti impiantare da Pio VI nel corso della sua bonifica. Oggi ne restano, forse, 11, e sono abbastanza protetti da un anonimato che è
sconoscenza e trascuratezza. Altri miliari, romani questi, sono visibili a Mesa e in singoli punti della consolare, e, purtroppo, sono esposti al rischio dei predatori di beni archeologici, come quello di Foro Appia, che fu letteralmente divelto in una nottata dal sito in cui era stato collocato dalla Provincia presieduta dal prof. Antonio Caradonna.
Altri tratti di Appia romana sono stati riportati alla luce a Terracina, nella città alta, a Fondi (con un ponte romano), a Itri, mentre alla Portella di Monte San Biagio è visibile un breve tratto di deviazione per evitare la strettoia del posto di guardia. Formia ha ingoiato nella sua divorante urbanizzazione ottocentesca e di inizio Novecento la strada Romana (via Filippo Rubino e via Lavanga) troppo stretta per essere usata dai nuovi mezzi di trasporto. L’eventuale
riconoscimento della via Appia come bene dell’Unesco riporterebbe alla vista (e quindi esporrebbe al pericolo di furti) buona parte di questi beni, ma l’eventuale successo dell’iniziativa dei tredici Comuni sarebbe certamente accompagnata da forme di presidio e di tutela.
Quando svolgevo un altro lavoro che non il mio attuale di pensionato, in occasione della proclamazione dell’Anno paolino (2008-2009), che ricordava il viaggio di San Paolo da Cesare a a Roma, proposi il riconoscimento dell’Appia come “Itinerario Paolino”, ma la cosa non andò avanti. Mi capitò di rilevare più o meno tutti i segni archeologici o monumentali che la via Appia apre al visitatore e al turista, come fa da oltre duemila anni. E sono risultati che metto a disposizione di chi ha buona volontà e forze diverse dalle mie povere.
Dico, con questo breve articolo, che sono con coloro che vogliono portare avanti il progetto presso l’Unesco. Un po’ di presunzione non guasta, quando c’è la buona volontà.