16 Novembre, 2012 - Nessun Commento

GELASIO CAETANI E LE INDENNITA’ DI CARICA

Gelasio Caetani in una foto del 1924

Una notizia che non appartiene al mondo che viviamo, raccolta da un fascicolo dell’archivio personale di Gelasio Caetani (1877-1934), figlio di Onorato Caetani XIV duca di Sermoneta, e della britannica Ada Wilbraham, ingegnere minerario, eroe del Col di Lana (1916), deputato nazionalista e senatore del Regno (ex), ambasciatore d’Italia a Washington dal 1922 al 1925, vice presidente dell’Agip (appena costituita, anni Venti del secolo scorso), storico delle vicende di famiglia (Domus Caietana e diversi altri volumi), ispettore onorario ai monumenti, corrispondente dell’Accademia dei Lincei, restauratore della medievale Ninfa e del castello di Sermoneta, primo bonificatore della palude pontina (i suoi progetti di insediamento colonico partono nel 1919), scultore squisito, disegnatore tecnico e a mano libera (divertenti i molti schizzi dei suoi colleghi di Parlamento) , e un sacco di altre cose che un giorno racconterò.

La notizia è data da una lettera che egli scrive al Ministero degli Esteri il 21 maggio 1930. Gelasio aveva già da tempo smesso di fare l’ambasciatore, ma il Ministero degli Esteri si rivolgeva spesso a lui per consigli e consulenze, e alla fine lo nominò presidente della Commissione per l’Acquisto e l’Arredo delle Sedi diplomatiche e consolari all’Estero (C.A.S.E.), che iniziò a lavorare con una dotazione di 64 milioni di lire (un sacco di soldi all’epoca). Gelasio scrive al Ministero di aver ricevuto un accredito di Lire 547 per gettoni di presenza quale presidente della Commissione, ed allega, quasi sdegnato, alla sua lettera un suo assegno di pari importo (Lire 547: un bel po’ di denaro d’epoca), ricordando che egli non intendeva avere alcun compenso per servizi che gli erano richiesti dallo Stato, servigi che intendeva svolgere in forma gratuita. Bisognerebbe mandare quella lettera in copia ai circa nostri 400 mila professionisti della politica.

 

7 Novembre, 2012 - Nessun Commento

DEMOLITI GLI “SCHELETRI” DI MAIORA III AL CIRCEO

(foto da Legambiente)

Gli scheletri sul Promontorio

 

 

 

 

 

 

Nei giorni scorsi (il 31 ottobre 2012, per la storia) le ruspe hanno demolito uno dei più chiacchierati abusi edilizi della meravigliosa zona di Quarto Caldo a San Felice Circeo. Parliamo di alcuni scheletri di costruzioni, iniziati senza UNA licenza edilizia (all’epoca si chiamava così) fondata su una corretta applicazione delle norme del Piano di fabbricazione allora vigente. Erano destinate, fin dalla posa del primo plinto nella roccia del Circeo, a fare la fine che hanno fatto. Polvere erano e polvere sono ridiventati.

Si chiamavano “lottizzazione Maiora III”, ma con il blocco dei lavori erano diventati “gli scheletri”. Quegli scheletri abusivi hanno resistito forse quarant’anni a tutti i tentativi di demolizione, in parte per l’ostinazione (comprensibile, ma fuori luogo) di chi vi aveva investito; e in parte per la neghittosità o il timore (o chissà cos’altro) degli amministratori, che hanno sempre esitato a fare l’unica cosa che rimaneva da fare: demolirli.
Ed ora che gli scheletri non fanno più parte del paesaggio abusivo del Circeo, mentre per un verso sono il riaffermarsi della legalità e della difesa di un ambiente destinato a Parco nazionale, dall’altro verso hanno suscitato qualche rimpianto. “Sarebbe stato meglio lasciarli in piedi – ha commentato qualcuno – tanto ormai si erano radicati nel paesaggio. Sì, è vero, ne erano la negazione, ma costituivano anche la rappresentazione di come si possa reagire ad un abuso, che è sempre atto di prepotenza”.
A quei tempi, chi scrive faceva il giornalista, e di Maiora III (e di altri abusi consumati al Circeo) scrisse centinaia di articoli per Il Messaggero, insieme ad Emilio Drudi. Oggi quegli articoli, per chi li volesse consultare, si trovano in alcune cartelle depositate presso l’Archivio di Stato di Latina, a ricordo di un’epoca prepotente (era anche l’epoca di Camillo Crociani, se qualcuno lo tiene ancora in mente), e del balcone moderno e munito di tende costruito attorno alla cinquecentesca Torre Cervia che Crociani aveva comprato e trasformato in una villa moderna. Poi Camillo Crociani morì in Messico, dove si era trasferito per certe ragioni legate alla sua attività di uomo d’affari.
Un giorno che il cronista si era recato presso Maiora III per osservare se c’erano stati cambiamenti dopo lo stop ai lavori, ed avendo con sé la macchina fotografica, gli capitò di essere duramente rimbrottato da un imbronciato energumeno che spuntò fuori da uno degli scheletri, urlando di non avvicinarsi e stringendo in una mano un fucile da caccia. Per dire come andavano le cose. Ma il tempo, stavolta, è stato galantuomo.

29 Ottobre, 2012 - 2 Commento

APRILIA E ANCHE LE ISOLE PONTINE (MA E’ VOCE ISOLATA) VOGLIONO LASCIARE LA PROVINCIA DI LATINA

Povera provincia di Latina, ormai prossima ad essere chiamata “ex” o “già”. Non bastano tutti i problemi di sua sussistenza emersi nell’immediato secondo dopoguerra. All’epoca il discorso era, come si diceva, “politico”, cioè antifascista; ma anche questione di mero campanile, come testimonia la relazione di 16 pagine che il dottor Tommaso Testa di Formia inviò al Governo di quei tempi, nell’autunno del 1944 (la relazione può essere cercata all’Archivio centrale dello Stato).

Formia, in quella relazione, rivendicava il suo diritto al distacco anche per ragioni “di razza” (è scritto proprio così, e, purtroppo, il prof. Testa, che pure era un intellettuale, non riusciva a comprendere, in quegli anni, la portata insultante che il vocabolo “razziale” aveva, alla luce delle obbrobriose esperienze che nazismo e fascismo avevano consumato alle spalle di tanta povera gente. Formia rivendicava, ora che il fascismo era stato seppellito ciò che non aveva osato chiedere quando il fascismo era al governo. Non alzò una sola voce di protesta (contrariamente a quanto aveva fatto nel 1927 Cassino nei confronti di Frosinone, nuovo Capoluogo di provincia) quando, dopo la soppressione della provincia di Caserta/Terra di Lavoro, tutto l’attuale Lazio meridionale marittimo era stato prima assegnato alla provincia di Roma e poi a quella di Littoria. Non una voce di protesta o di rivendicazione.
Oggi, che la provincia di Latina sta per essere liquidata, alla soglia del suo 80° compleanno (18 dicembre 2014), si affacciano nuove voci di distacco. Aprilia – nata dalla cessione di grandissima parte del territorio che in suo favore aveva dovuto fare Cisterna – già ci aveva provato il 10 agosto 1945, senza che alcuno prendesse in considerazione quella sua proposta di distacco. Ci riprova oggi, annunciando il suo desiderio di passare dalla nuova provincia “di Marittima e Campagna” all’Area metropolitana di Roma.
E persino il piccolo arcipelago delle Isole Pontine (pardon, Ponziane, con tutto il rispetto per Ventotene che rifiuta di farsi chiamare “ponziana”) trova un amatore che propone, niente meno, di restituire i due comuni di Ponza e Ventotene alla provincia di Napoli. In questo modo, è la singolare tesi, le due isole sarebbero ricongiunte alle matrici demografiche del ripopolamento settecentesco, vale a dire Ischia, Procida e Torre del Greco (ma non si ricorda che tra i primissimi nuovi abitanti di Ponza e di ventotene c’erano anche 100 forzati, inviati nel luglio 1768, e altri 300 forzati inviati nel marzo 1771).
Quale può essere l’interesse di Ponza e Ventotene di ritornare a “formare” il nuovo arcipelago di Capri-Flegree- Pontine (o Ponziane pro parte)? Quella di fare la parte delle figlie di un dio minore?
Chiedo scusa ai tanti amici e conoscenti ponzesi e ventotenesi: non intendo recare loro alcuna offesa, ma solo invitarli a far tacere quella voce anacronistica.