11 Febbraio, 2014 - 1 Commento

Turismo da crisi globale

Turismo da crisi globale

Finalmente comincia a capirsi qualcosa sull’andamento del turismo nel 2013. Disponendo di qualche conoscenza professionale (il sottoscritto ha questa balzana pretesa), non ci voleva molto a capire che l’Italia è in costante declino, che c’entra sicuramente con la Global Crisis, ma che ha moltissimo a che vedere con il modo raffazzonato, incompetente e costosissimo con il quale si gestisce questo formidabile settore dell’economia nazionale (e regionale). I dati (v. Il Corriere della Sera del 9 febbraio 2014, un paginone di notizie ricavate da Eurostat, Travel&Tourism, World Economic Forum e Organizzazione Mondiale del Turismo) sono impietosi: l’Italia ha perduto il 4,5% dei pernottamenti (nel gergo statistico del turismo si chiamano “presenze”). E se Roma “esplode” con incrementi che non hanno genitori verificabili, vuo, dire che è una eccezione che non spiega perché da anni non nasce un albergo serio e, soprattutto, di dimensioni adatte a quel fluviale incremento turistico che vi si verificherebbe. E perché non vi sia nato un Tour Operator di livello europeo. La verità è che è fallito il rapporto tra decentramento e pilotaggio dei grandi fenomeni economici. E siccome si sta ripensando a quel Titolo V della Costituzione che qualche anno fa ha ingigantito i poteri regionali anche in materia di Turismo, frantumando e annientando una Politica Del Turismo, forse potrebbe essere l’occasione buona per rimettere mano al problema. Radicalmente. Una volta si diceva che il Ministero del Turismo non serviva a nulla, ma abbiamo finito paradossalmente per rimpiangerne la dipartita: almeno faceva una sola legge che valeva per tutti, e disegnava uno scenario di organizzazione turistica che valeva per tutta l’Italia. Invece è stato “democratizzato” il Turismo, decentrandolo alle competenze delle Regioni. Che si sono messe a fare esperimenti di ingegneria organizzativa e che in 40 anni (ne è passato di tempo!) non solo ancora finiti, e sono riusciti solo a smantellare i risultati dei propri esperimenti, sostituendoli con altri. Sermpre meno credibili. Ma con una costante: la spesa per “promozione” (che dovrebbe significare sviluppo) è cresciuta a dismisura, ma l’Italia appare agli occhi dei nostri potenziali clienti (i Grandi Operatori o i molto più numerosi clienti “individuali”) con con una immagine unica, ma come una frammentazione incomprensibile di cucine tipiche, di prodotti tipici, di costumi tipici, di musiche tipiche, di musei tipici e altre tipicità che costano ,montagne di soldi, di “globali” missioni all’estero, di mazzette che girano, di sprechi. Agli sprechi nazionali, poi, si sono aggiunti quelli che conferisce la Comunità Europea per progetti che non si attuano o che non hanno alcuna capacità di impatto e di risultato. Non c’è un modello di progetto turistico che sia mutuabile per il “prodotto Italia”.

Nello specifico, il Lazio, purtroppo, sta ancora leccandosi le ferite inferte dalla Giunta Polverini, che non ha mai amato il Turismo, ma finora non si è messa mano ad una riforma qualsiasi. Ci si accontenta di piangere sui disastri lasciati e trovati. In sintesi: è stata distrutta l’esperienza di alcuni piccoli e volenterosi enti autonomi provinciali (gli EPT, le APT), ma è rimasto il personale, che costa esattamente come nel passato. Con l’aggravante che i piccoli e assai poco costosi entini locali (che almeno producevano qualche opuscolo corretto e informato e, soprattutto, facevano conoscenza statistica “vera” e non farlocca, e garantivano unitarietà di classificazione alberghiera e tutela del turista da operatori improvvisati; e davano informazioni oggi irricevibili) sono stati sostituiti da una sontuosa Agenzia Regionale per il Turismo, segnalatasi per un vorticoso avvicendamento di dirigenti – a volte totalmente a digiuno della materia che dovevano governare – e arricchitasi di un polposo contingente di dirigenti, funzionari, impiegati d’ordine che spesso si sono aggiunti a sommati quelli che già c’erano (e che sono rimasti, alla faccia della dichiarata spending review). Per tornare al discorso iniziale: sappiamo, ora (e non dagli enti deputati), che l’Italia è in calo vertiginoso. Non è una notizia. Ma purtroppo è una notizia. Brutta.

 

29 Gennaio, 2014 - Nessun Commento

LATINA/VANDALISMO
IN CATTEDRALE E
TOLLERANZA FUORI LUOGO

Mi professo cattolico praticante e tollerante verso chi la pensa diversamente. Ma tolleranza non significa disposizione ad accettare tutto, comprese le cose inaccettabili. Come quella che è stata recentemente consumata ai danni di una statua dedicata al primo parroco salesiano di Littoria (1934), custodita all’interno di una cancellata chiusa, posta al vertice del sagrato della Cattedrale diocesana, che è intitolata a San Marco. In quanto cittadino, apprezzo che il Sndaco di Latina abbia espresso la sua indignazione. In quanto cattolico mi avrebbe fatto più piacere che il Comune avesse dedicato migliore attenzione ad episodi che ormai si trascinano da almeno 6-7 anni, e che i parroci di San Marco, a loro volta osservando un comportamento di rispetto anche per l’altrui prepotenza e maleducazione, hanno tollerato. In realtà è da molti anni che piazza San Marco è diventata un suk urbano, e il sagrato bivacco di orde di raggazzotti e ragazzotte che si divertono nelle ore serali e notturne a urlare, specie maleparole (e in questo le ragazze hanno grandemente affinato le loro “tecniche”, spesso superando i compagni) e lasciando, alla fine del bivacco, tutto quello che è possibile. Questo, per la verità, riguarda anche il vicino Museo Cambellotti. Durante le recenti festività natalizie, avendo alcuni degli “ospiti” spostato la sede… per i loro sederi, dalla scalinata esterna ai gradini che immettono nella stessa chiesa, si sono anche esibiti nel lancio di tric-trac durante cerimonie serali, o nel lancio di urli e fetide parolacce in modo che esse potessero essere ascoltate da chi frequentava l’edificio. Non c’è indignazione che tenga: questi sono provocatori scientifici, e questa storia non può essere consentita oltre. Perché questi coraggiosi ragazzi non vanno a sedere sui gradini dell’ingresso al Municipio, o su quelli della Questura o del Comando Carabinieri o della Guardia di Finanza? Le “comodità” sono sostanzialmente le stesse, la libertà idem. Forse non avrebbero la stessa civile reazione-non reazione dei parroci. Ma si sa, il coraggio non può essere richiesto a chi non lo ha.

 “A nome della città esprimo forte condanna dell’atto vandalico compiuto la scorsa notte a danno della statua di Don Torello, posta all’ingresso della cattedrale San Marco. Quanto accaduto, oltraggia il nostro passato storico ed il nostro presente.”

 “Sono atti da condannare e da stigmatizzare, sempre e con fermezza.” –afferma il sindaco Giovanni Di Giorgi – “Atti di vandalismo, così come episodi di inciviltà o di scarso rispetto per i beni pubblici sono diventati purtroppo parte integrante del vivere comune, ma quando colpiscono la memoria della città ed i valori della comunità religiosa, la ferita che creano è ancora più grave.”

 “Manifesto la mia più completa solidarietà al Parroco di San Marco e a tutto l’ordine religioso Salesiano che opera e si adopera per la cittadinanza locale.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

18 Gennaio, 2014 - 2 Commento

I 70 ANNI DELLA BATTAGLIA DI CISTERNA

Foto riservata IWM Londra

Tra il 22 e il 25 maggio le forze alleate impegnate da sei mesi sui due fronti della Gustav (Garigliano) e dell’area di sbarco Anzio-Nettuno fronte di Littoria-Cisterna-Aprilia, affrontarono l’ultima e sanguinosa battaglia in terra pontina, dando l’assalto a quella che i tedeschi definirono una “festung”, una fortezza: a Cisterna di Littoria. I tedeschi si erano convinti che il tentativo di sfondare la testa di ponte sarebbe passato per la zona di Aprilia che era stata teatro delle quattro sanguinose battaglie fra febbraio e metà marzo 1944, ossia l’area compresa tra Tor San Lorenzo-Moletta-Aprilia, sul fianco nord-occidentale del fronte “romano”. Che gli alleati puntassero, invece, a rovesciarsi alle spalle di Cisterna apparve chiaro solo quando ormai per i tedeschi non esistevano più le possibilità di rafforzare quella difesa. L’attacco su Cisterna iniziò alle 5.45 del 23 maggio, quando tutte le batterie alleate fra Spaccasassi e canale Mussolini, circa 500 cannoni, aprirono il fuoco. Inizialmente sembrò ai tedeschi il solito fuoco che ricevevano quotidianamente. Per 40 minuti piovvero migliaia di proiettili. Alle 6.25 iniziò la seconda fase, il martellamento aereo affidato a 60 bombardieri del 12° Tactical Air Command. Altri aerei mossero due ore dopo, alle 8.30, sui dintorni dell’obiettivo principale: furono bombardati in particolare prima Sezze (94 morti e 116 feriti), poi la zona di Priverno (una trentina di morti). Esaurito l’attacco aereo, partì la fanteria e i corazzati americani: la 3^ e la 45^ divisione di fanti e la 1^ divisione corazzata, schierate lungo un fronte tra la Croce a oltre Le Castella. Il settore più orientale fu affidato alla 1^ Forza di Servizio Speciale, unità americano-canadese di commandos, tra Borgo Flora e canale Mussolini. Da parte tedesca, la città era affidata al LXXVI Panzercorps (362^ e 715^ divisioni di fanteria) , più un reggimento corazzato della 3^ divisione Panzergrenadier. Protetta da un’enorme quantità di reticolati e da campi minati, Cisterna era difesa in centro da capisaldi con mitragliatrici, che formavano una catena di fuoco. La battaglia ebbe fasi alterne e durò fino all’alba del 25 maggio quando i resti del 955° reggimento germanico si ritirarono fra le rovine di Cisterna, mentre la 3^ divisione US raggiungeva la strada Cisterna-Cori. Intanto la 362^ divisione germanica aveva deciso di abbandonare la difesa di Cisterna già nel pomeriggio del 24 maggio, quando la 4^ divisione corazzata US aveva accerchiato i tedeschi da ovest, spingendosi sulla Cori-Valmontone, mentre la 1^ Forza di Servizio Speciale l’aveva fatto da est, spingendosi verso monte Arrestino a Cori. Il cronista della BBC Vaughan Thomas che aveva seguito la battaglia comunicò gli ultimi atti: gli americani “avanzarono combattendo lentamente fino al centro della città, sinché non raggiunsero il mucchio di macerie che segnava il palazzo della piazza principale [palazzo Caetani]. Duecento uomini della guarnigione tedesca uscirono strascinando i piedi dai nascondigli, con le mani in alto e coperti dalla polvere delle mura crollate. Quando scendemmo nella grande cantina sotto il palazzo dove i tedeschi si erano riparati durante il bombardamento, vi trovammo un mucchio puzzolente di morti e feriti, coperti di sporcizia e di vestiti sudici”.