RITORNO A PONZA
UNA NUOVA, ANTICA CUCINA
Cala Feola, nella parte settentrionale di Ponza, sotto la “giurisdizione” geografica della pittoresca frazione di Le Forna, è una delle più belle e attrattive località dell’Isola dii Ponza. Vi sono ricordi antichi (i resti del forte borbonico su uno sperone di roccia verso nord) e più recenti (la nave Liberty affondata nel 1944 mentre, durante una tempesta, trasportava prigionieri tedeschi da Anzio-.Nettuno, dove gli Alleati erano sbarcati di sorpresa il 22 gennaio 1944, a Napoli, ma andò a finire sugli scogli e si spaccò in due affondando a una quindicina di metri di profondità, oggi meta preferita di immersioni subacquee.
A Cala Feola c’è anche un mucchio di natura: le piscine naturali, che si aprono tra scogli e qualche arco naturale, in un mare che si diverte a passare dal verde smeraldo al blu cobalto, a seconda dei giorni e dei venti; c’è una spiaggetta di sabbia che la stessa natura ha protetto dalle grandi invasioni: deliziosa, solitaria, intima sia pure con un mare di barche che le fanno la guardia. E vi è una cucina da ristorante, ma “fatta in casa”, la casa dei Romano, Aniello, Gennaro e Rafelina. Per scendere a questo ristorante bisogna percorrere una sinuosa discesa di oltre duecento scalini. A scendere è tutto a posto. A risalire dopo mangiato, un po’meno. C’è anche un’altra scalinata, sull’altro versante della valletta al centro della quale si trovala spiaggia di Cala Feola. Ma qui gli scalini sono molto più irregolari, spesso alti, accompagnati nel tratto finale da una “ferrata” fatta di corda di canapa che brucia le mani che debbono impugnarla. Niente di drammatico, anzi è divertente fare questa scalata. Io sono riuscito a contare circa centocinquanta di quei gradini, anche essi fatti in casa. Poi ho perso il conto per dare spazio a una respirazione più impegnata e meno distratta.
Lassù c’è il ristorante La Terrazza. Ma intanto fermiamoci al ristorante La Marina, quello dei duecento gradini. E’ nato come “ristorante abusivo di necessità”, come racconta Aniello Romano, ricordando gli anni passati. Abusivo si declina di solito con “di necessità”, ma per le case. Per i ristoranti c’è da spiegare di più.
“La gente veniva a prendere il bagno in questa caletta “segreta”, poi, quando si faceva l’ora, aveva appetito, aveva sete, aveva necessità di rispettare la fisiologia. Ma non c’era assolutamente nulla e nessuno a cui rivolgersi. E allora abbiamo improvvisato questo piccolo ristorante rustico, alzandolo tra due scogli di tufo grigio e una vegetazione che ricorda da vicino le isole desertiche dell’Oceano Indiano.
Un po’ per merito di madre Natura, un po’ per merito della fantasia dei Fornesi. Piano piano, le ragioni di necessità hanno prevalso su quelle dell’abusivismo e tutto è stato sanato, forzando un po’la mano. Ma, appunto, per necessità. Dispone anche di un piccolo bar, servizi igienici, disponibilità di acqua e una veranda affacciata sul mare che ti trasporta con la fantasia migliaia di miglia marine più verso oriente, un po’ di ricordo di Hemingway.
Ma siamo a Ponza. E qui si sono inventati una cucina antica e di necessità anche essa, con qualche ricetta nuova di zecca, che ha come piatto centrale la “parmigiana a ‘e èpalètte”. Cosa sono le palette? Sono le pale di fichi d’India appena nate. Si trovano a portata di mano. Debbono essere giovani e morbide, piccole, non ancora fatte grosse. Rafelina racconta questa “nouvelle ancient cuisine”: le spine non si sono ancora indurite e vengono pulite a mani nude, senza conseguenze. Poi le piccole pale vengono pelate con un pelapatate, privandole dellascorza verde. Quello che resta va bollito per una ventina di minuti, poi tagliato a fette come se fossero fette di melanzana. Qui a Ponza la melanzana era difficile da coltivare, e per la gente povera era ancora più difficile. Ecco perché la parmigiana non si fa con le melanzane e diventa una squisita e curiosa pietanza. Le fette vengono disposte come si fa per le melanzane, poi condite con sugo di pomodoro e formaggio grattugiato. La mozzarella non viene messa perché altrimenti la pietanza diverrebbe preziosa e più costosa. E non sarebbe più cucina “povera”, come un tempo. Il forno fa il resto. Ci fanno assaggiare questa “composta”. E’ molto buona, e si fatica a distinguere tra melanzane e palette di fico d’India. Poi c’è la cucina povera di mare. Rafelina spiega anche come si è inventata la trippa di pesce spada, rìcavandola dallo stomaco dello Spada, che assomiglia molto alla trippa dei colleghi di terraferma, i bovini. Ce la presentano su un’ampia padella, cucinata col pomodoro. E’ anch‘essa gustosa e curiosa. Vale la pena affrontare i quattrocento scalini fra andata e ritorno. Noi abbiamo avuto la fortuna di assaporare altri piatti della tradizione di Le Forna, cucinati e serviti presso l’Istituto comprensivo Carlo Pisacane. Li avevano preparati le donne di una certa età di Le Forna, in particolare Assunta Scarpati. Lei ha trasformato la sua casa in un piccolo ristorantino familiare, “La casa di Assunta£, dove serve splendide minestre di lenticchie e di cicerchie, un pane delizioso fatto in casa, morbido e rustico, e saporoso e frutto della fantasia di chi ha saputo attingere dall’antica povera terra di un’isola tutti gli ingredienti utili a sopravvivere con grandi fatiche ma senza troppa spesa. E con grande fantasia e ottimo gusto. Assunta ha creato anche la Bottarga di pesce spada, perché lo Spada è un pesce che sa di Ponza.
Ma prima di arrivare da Mamma Assunta si gode uno splendido panorama su Cala Feola dal ristorante La Terrazza, dove un giovane e abile chef ci prepara un sontuoso Rancio fellone, noto anche come Gransèola, Sotto il suo carapace rosso che lo chef apre con pochi e secchi colpi, si scopre la polpa che è buona di suo, ma arricchita del buongusto di chi la cucina. Ma non occorrono chissà quali ingredienti: basta la tradizione. Il Rancio ci mette tutto il suo fondamentale sapore.
Ma Ponza si è sposata anche con l’Agro Pontino, nel progetto Cocomero Pontino che Tiziana Briguglio sta portando pazientemente ed efficacemente avanti per conto e con Claudio Filosa, in brand con Tiziana Zottola, Giuseppe Nocca, Giampaolo Cesaretti e Lillina Olleia. Ci hanno offerto un’audace cena tutta a base di cocomero. E di pesce. Ohibò: c’è da gustare e sorprendersi, ma soprattutto dimostrare che il Cocomero pontino si sposa col sushi e con la minestra e persino col dolce. La terrazza del ristorante Eèa ha offerto la sua ospitalità, sotto la guida del maestro Davide De Luca. L’assessore regionale all’Agricoltura del Lazio, la giovane Enrica Onorati, ha messo il suo timbro alla qualità della serata. Che ha suscitato molta meraviglia tra gli ospiti, molti punti esclamativi, ma se volete provateci anche voi. Se il cocomero è buono e il pesce è fresco, il miracolo di questo curioso sposalizio può compiersi. Testimoni di nozze i vini di Casale del Giglio di Santarelli a Borgo Montello-Satricum (Latina). Le Isole Pontine, care al mio ormai antico cuore, non cessano di meravigliarmi. E per mia gioia le chiamerò anche Isole Ponziane., Ma solo con riferimento a Ponza e ai suoi satelliti Gavi, Zannone e Palmarola. Ventotene e Santo Stefano stanno a 22 miglia marine, verso est.