4/LATINA E L’AGRO PONTINO TRA GUERRA E DOPOGUERRA LE PRIME ELEZIONI E IL REFERENDUM ISTITUZIONALE
di Pier Giacomo Sottoriva
Il salto politico si ha con le prime elezioni amministrative dopo la caduta del fascismo. Si svolgono tra la primavera e l’autunno del 1946, frazionate in più turni per poter consentire alla forza pubblica di garantire che tutto si svolga tranquillamente. C’è una grande novità: il voto diventa universale: sono, difatti, ammessi a votare tutti i maggiorenni, incluse le donne, che vengono chiamate per la prima volta ad esprimersi. L’altro grande passaggio avviene il 2 giugno 1946, quando viene indetto il referendum istituzionale, che porta all’affermazione dell’Italia repubblicana, alla caduta della monarchia; e alle contemporanee elezioni per la scelta dei Deputati Costituenti, con il compito di elaborare un testo costituzionale. Saranno così bravi da consegnarlo entro la fine del 1946, sicché il Capo provvisorio dello Stato potrà promulgarlo in modo che dal 1° gennaio 1947 esso diventi la Carta fondamentale della nuova Repubblica italiana. Esso è ancora oggi un modello di legge democratica, di illuminata visione, ne viene persino curata una revisione che la renda chiara e comprensibile a tutti. Il suo confronto con alcune leggi moderne è impietoso per queste ultime.
Alle prime amministrative di Latina si afferma, con un exploit inatteso, il Partito Repubblicano che esprime il primo sindaco elettivo nella persona del ragioniere Fernando Bassoli (v. il recente libro di , un romagnolo che amministra una cooperativa di Carpi. Intanto si era chiusa l’altra polemica, quella legata al nome Littoria e alla persistenza della Provincia di Littoria. Il primo problema si era risolto quando la Deputazione provinciale aveva deliberato, a fine gennaio 1945, di esprimere al Governo il parere favorevole al cambio del nome da Littoria in Latina (in realtà, il Governo Bonomi aveva già cominciato a chiamarla Latinia nell’autunno del 1944, e Mussolini aveva fatto giungere la sua protesta irritata); il nome venne cambiato con decreto dell’aprile 1945. Più complessa era stata la discussione sulla Provincia: c’erano volute riunioni, come si è detto, votazioni, le posizioni erano contrapposte, in nome di una posizione nuova che rifiutava l’identificazione degli eventi della bonifica con il fascismo, e ne attribuiva, invece, il merito alle forze lavoratrici che avevano operato in condizioni di gravissimo disagio in palude, conquistandola alla produttività e all’insediamento a costo di molti morti di malaria e per incidenti. La situazione era stata complicata da un movimento di opinione abbastanza diffuso nel sud, da cui era giunta la richiesta di staccarsi dalla provincia nata nel 1934 e di aggregarsi a Cassino (già nel 1944). Prevarrà il mantenimento, ma i nuovi organi elettivi provinciali arriveranno solo nel 1951.
A combattere la originaria denominazione e la istituzione provinciale sono soprattutto le forze di sinistra, che mobilitano riunioni varie, una delle quali si pronunzia anche a maggioranza per la soppressione della provincia. Ma c’è anche opposizione al cambiamento, che trova comprensibile alimento nella stessa genesi della città e nella composizione del corpo sociale, che ormai rifiuta nella sua stragrande maggioranza il fascismo, ma che ancor di più rifiuta il comunismo e le posizioni che vengono sostenute dai comunisti.
I partiti e le prime conflittualità
La lotta politica assume subito connotati precisi. Gli Alleati – che restituiranno la piena potestà di governo agli organi italiani nell’agosto del 1944 – non vogliono avere a che fare con le forze della sinistra e in special modo con i comunisti, per cui danno una serie di direttive e di regole per neutralizzare questo timore. Viene, così, stabilito che:
– prefetti, sindaci e assessori possano essere nominati solo con l’assenso del AMG; e di conseguenza il PCI, dopo il “governo di Salerno”, resta fuori da ogni ipotesi governativa anche locale, tranne dove sono maggioranza
– vengono rastrellati e sequestrati a privati tutti i depositi di armi abbandonate dagli eserciti e recuperate. Si teme che possano servire a qualche rivolta
– le manifestazioni pubbliche di protesta vengono represse con azioni dure, che provocano morti e feriti: sono le celebri “cariche” della Celere, le squadre di intervento della PS, che fanno anche ricorso alle armi. (Più avanti nel tempo, 1954, il governo Scelba escluderà da contributi pubblici tutte le iniziative della sinistra e revocherà le concessioni di edifici ex fascisti alle aggregazioni comuniste e socialiste)
– i comizi vengono rigorosamente seguiti e registrati dalla forza pubblica. A questa serie di norme restrittive si aggiungerà nel 1949 la scomunica dei comunisti proclamata da Papa Pio XII. Più in là nel tempo (primi anni Cinquanta), gli Usa dichiareranno attraverso l’ambasciatrice in Italia Clara Booth Luce (1953-1956) che non daranno aiuti alle imprese nel cui interno operano sindacati comunisti (la Cgil aveva assunto una propria autonomia organizzativa e di denominazione staccandosi quasi subito dalla Cisl, sindacato unitario). La neonata Tv non ospiterà alcun membro dell’opposizione (si dovrà attendere il 1962 per avere una trasmissione, Tribuna politica, aperta a tutti).
Dal canto suo, il Pci, e in genere la sinistra con esso solidale (nelle elezioni generali del 1948 si forma il Blocco del Popolo che raccoglie comunisti e socialisti, sotto il simbolo di Garibaldi) utilizzano in Provincia due strumenti:
– i cosiddetti “scioperi a rovescio”, che consistevano nel presentarsi in un cantiere di lavoro che i ritardi governativi frenavano o rallentavano ed iniziarvi i lavori, malgrado i divieti imposti dalla amministrazione, assistita dalla forza pubblica o dalla Prefettura.
Essi furono la causa di tafferugli, blocco della circolazione, arresti. Se ne ebbero soprattutto sui monti Lepini
– l’invasione e l’occupazione di terre incolte o di terre coltivate appartenenti a latifondisti, e la richiesta di massicce redistribuzioni di terra a cooperative e a contadini.
Oltre al Pci e in parte al Psiup, poi Psi, un altro partito viene collocato nella lista degli osservati speciali, il MSI, fondato da ex fascisti nel 1947. La nascita del neofascismo viene accettata in nome del nuovo spirito democratico che si coglie dalla Costituzione, ma si vuole nel contempo evitare qualsiasi iniziativa che possa ripetere i metodi repressivi fascisti. Da qui nascono indagini e denunce, alle quali si accompagnano episodi di vario tenore che tendono ad evidenziare la persistenza di un nucleo di “nostalgici”, come vengono chiamati. Dalle carte della Prefettura emergono episodi che oggi sembrano curiosi: a Borgo Grappa viene celebrata una messa in memoria di Mussolini; presso le Case Popolari dell’odierno Quartiere Nicolosi di Latina si svolgono indagini su canti fascisti ivi eseguiti; appaiono scritte sui muri inneggianti al duce o al passato regime; riappaiono distintivi e persino cravatte, fazzoletti e cappelli che rievocano il fascismo, per cui se ne vieta l’uso in pubbliche riunioni. Si registra, infine, la prima gita a Predappio organizzata dalla Federazione pontina del Msi, che viene prima vietata come “visita a Predappio”, dove sono tornate le spoglie del duce, e poi ammessa come “pellegrinaggio” generico, senza riferimenti.
Questa azione di controllo si intensifica in vista delle elezioni del 18 aprile 1948, che dovrebbero segnare lo spartiacque tra la definitiva messa al bando del pericolo di una rivoluzione bolscevica. La vittoria della DC fuga i timori, ed avvia più sereni orizzonti anche per la convivenza locale. La Provincia viene gratificata dal neo premier e capo della Democrazia Cristiana vittoriosa alle elezioni: Alcide De Gasperi trascorre a Formia, presso il Grand Hotel Miramare alcuni giorni di riposo dopo le elezioni. (4.continua)