di Salvatore Ciccone
La conoscenza archeologica di Formia fino ad un recente passato è stata determinata da fortuite scoperte, prima durante la rinascita di un tessuto urbano dal Settecento al primo Novecento, poi negli scavi edilizi più consistenti e distruttivi dal secondo conflitto mondiale fino agli anni 1970.
In questa seconda fase si distingue per frequenza ed eccezionalità dei rinvenimenti l’area di via Nerva e via XXIV Maggio, comunicanti traverse al nuovo corso Vitruvio e alla via Rubino, quest’ultima ricalcante il decumano massimo della città romana ovvero il tratto urbano della via Appia. Vi sono affiorati numerosi elementi architettonici di epoca romana di pietra e di marmo, alcuni già confrontabili con quelli documentati da Pasquale Mattej a metà Ottocento, come quelli affiorati nel prolungamento di via Vitruvio negli anni 1920 nell’ambito di una piscina natatoria attribuita a Nerva, tra le cui sculture rinvenute due Nereidi su ippocampi sono ora esposte al Museo Archeologico di Napoli.
Di confusa entità invece sono i cospicui elementi architettonici lapidei venuti in luce dal dopoguerra con l’apertura di via XXIV
Maggio e aree finitime, per lo più appartenenti ad un arco monumentale, determinato dalla presenza dei cunei dell’archivolto,
caratterizzato da ordine architettonico e da una cubitale iscrizione dedicatoria. Di questo arco si ha traccia nella toponomastica
medioevale, allorquando questa zona ai piedi del colle ‘Cascio’ veniva chiamata “luarcu”.
I reperti rimossi furono principalmente accumulati con una certa suggestione in piazzetta Municipio, ai quali si aggiunsero quelli “scaricati” nel piazzale delle Poste; in anni più recenti, per il restauro dell’edificio comunale, dalla piazzetta vennero distribuiti disordinatamente nella Villa Comunale, quindi nel rifacimento di questa “ammucchiati” nell’area del campo sportivo insieme ad altri tolti dal giardino di piazza della Vittoria, pure in rifacimento e poi sparpagliati nell’adiacente parco della Scuola Nazionale di Atletica Leggera del CONI. Nel frattempo i reperti nel piazzale delle poste, per la costruzione del parcheggio coperto, vennero trasferiti al Parco Antonio De Curtis nella periferia orientale di Giànola: di questi una piccola parte era stata già distolta e malamente disposta a lato di via Tullia e da qui oggi nel recente parcheggio adiacente il lato mare del Castello di Mola.
Questi frammenti, più di novanta, in quanto erratici non sono stati mai considerati nel loro valore artistico e documentale e neppure in relazione ai contesti di provenienza, quando invece essi rappresentano monumenti di grande interesse e potenzialità culturale.
Di fatto i reperti ora giacciono in tre luoghi tra loro distanti della città: nel parcheggio del Castello di Mola, n. 9 pezzi in pietra calcarea; nel parco del CONI, n. 55 pezzi in pietra calcarea e marmi vari; nel Parco De Curtis, n. 28 pezzi in pietra calcarea. Alcuni gruppi di reperti sono sicuramente congruenti ed identificabili, quelli della piscina di Nerva e in maggior numero quelli dell’arco;
con altra parte anche pregevole al momento di dubbia provenienza, restano promiscuamente accostati e incomprensibili nella loro specificità monumentale, oltretutto la parte conservata nel CONI non liberamente fruibile. Alcuni di questi reperti, quelli marmorei di maggior pregio sono poi stati usati come ornamenti da giardino nella Villa comunale…Dopo averli puliti con idrosabbiatrice!
Da questo excursus appare indubitabile come questi reperti archeologici anche finemente scolpiti e quindi di valore estetico
siano stati malamente sopportati nell’avvicendamento delle varie Amministrazioni e trasversalmente alle specifiche ideologie politiche. Scomodi, tanto da essere allontanati oltre che dai contesti di provenienza, da quegli ambiti che avrebbero potuto costituire una occasione ideale di esposizione e fruizione turistico-culturale quali la Villa Comunale e la Piazza della Vittoria.
Vano è stato ogni tentativo di dare un compimento a questa Odissea anche tollerata dalle competenti autorità, in considerazione del danneggiamento nella movimentazione dei pesanti blocchi: una propostafu il Progetto Arianna presentato dal locale Archeoclub che nel filo del mitico personaggio intendeva restituire alla Città questi monumenti reintegrati in specifici spazi espositivi in tutto la loro valenza culturale. Gli elementi riconducibili all’arco monumentale sono forse testimonianza pari se non maggiore del Cisternone romano nel rione di Castellone, opera eccellente d’ingegneria idraulica sotterranea ma priva di una immagine espressiva della civitas.
Non è oltre tollerabile questa situazione, come pure le decisioni della Soprintendenza avulse dalla cittadinanza in merito ai recenti
ritrovamenti presso l’Acquedotto Romano e in quelli del Lapidario di Villa Caposele oggi Rubino. E questo quando una città vicina come Gaeta sta esemplarmente valorizzando ogni testimonianza del passato materiale e immateriale per riconvertire e incentivare la propria economia; ancor più nell’attuale emergenza con la costatazione della debolezza e della nocività delle attività di facile profitto. La prossima Amministrazione di Formia, qualunque essa sia, ne prenda esempio e si presti doverosamente alla tutela e ad una esigente valorizzazione di queste testimonianze, considerando insieme ad esse le risorse umane di cultura e competenza a cominciare da quelle presenti sul suo territorio.
LE IMMAGINI (dall’alto verso il basso)
A- Un gruppo promiscuo di elementi architettonici di epoca romana
nel Campo CONI.
B- Una base, un capitello e sul fondo un elemento di semicolonna
dell’arco monumentale presso il Castello di Mola.
C- Elementi dell’arco monumentale nel Parco De Curtis: in primo
piano due cunei dell’archivolto.