RITORNO A PONZA
Mancavo da Ponza da qualche anno, Un’assenza forzata da problemi personali. Quasi non la riconoscevo al primo impatto. Prima era sempre emozionante e delicata: quei colori pastellati delle case, quell’elegante disegno del porto che penetra fin sotto Mamozio, quell’ormai familiare lieve curva del Comune con l’orologio, quel movimento di barche, di gozzi, di fuoribordo che si postavano nell’avaro spazio di manovra della banchina nuova per fare entrare la motonave sulla quale ci eravamo mossi da Formia.
Non riconoscevo quasi più quei caratteri, tutti positivi. E anche il non vedere più Ernesto Prudente che fumava seduto all’esterno del suo Welcome’s. Era il secondo saluto che Ponza mi dava dopo l’immagine d’assieme che non mi sono mai stancato di guardare mentre la nave o l’aliscafo andavano all’ormeggio.
Tutto più tecnico: lo spazio ricavato da una sistemazione del retro banchina nuova, le molte, troppe macchine che vi trovano parcheggio, il movimento di camion, più ordinato ma tale da dare una impressione del tutto urbana e un po’ cafona di un’isola stupenda. Poi mi sono immerso in un traffico più che urbano, fatto di qualche centinaio di scooter che si affittano e che si infilano dappertutto (non me ne vogliano i locatori, per loro è vita) , col loro fastidioso rumore, per non dire con la velocità e le evoluzioni cui i conducenti si lasciano andare, presi dal piacere delle curve dello stretto abitato e della provinciale per Le Forna, che sale e scende offrendosi agli spericolati. Che qualche volta si fanno male e che sempre turbano quegli ambienti. Via Chiaia di Luna e la Panoramica sono le strade che meglio si offrono a piloti scorretti e inappropriati.
Poi arrivo alla spiaggetta di S. Antonio e trovo un’idea intelligente: in quella zona la strada si restringe e i pedoni corrono rischi. E’ stata creata una passeggiata interna al muretto di confine della spiaggia con la strada. Occupa il bordo della spiaggia, quello che era sempre pieno di erbacce ed era deposito di cose improprie. Ora è una breve e sicura passeggiata, come l’area di Giancos, resa tutta transitabile. Ci vorrebbe qualche altro albero e qualche altra panchina. Ma il mare di S. Antonio mi è parso sconvolgente. Me lo ricordavo pieno di barchette, ma ci si poteva bagnare. Oggi è una muraglia cinese fatta di cinque o sei file di barche, di fuoribordo, di natanti di ogni tipo che sbarrano la vista e l’accesso con la loro presenza e con i corpi morti che riempiono e snaturano un ambiente naturale.
E poi, quanta gente. Ed era metà settembre. Non mi lamento per l’economia che portano all’isola (tra pochi giorni si chiuderanno le grandi parate di negozi affollati e multicolori di Corso Pisacane, vendite di abiti, di scarpe da mare, gelaterie, cappelli di paglia e cap con le scritte “confinati” divenute un brand creato dai giovanissimi studenti dell’Istituto comprensivo Carlo Pisacane di Le Forna. Corso Pisacane, fino ad una sera inoltrata di un inoltrato settembre era movimentato. Un piacere a pensare che il turismo porta economia. Ma dovrebbe esservi un modus. Sono un vecchio ex promoter di turismo. Pentito, a vedere lo stravolgimento di un’isola stupenda.
Non la riconosci neppure quando scendi alla fermata alla Chiesa di Le Forna, al bivio per Cala Feola. Le Forna non ha ancora perduto la pace che ha lasciato Ponza porto. Ma di silenzio ve ne è sempre di meno, grazie ad un servizio pubblico di trasporto che funziona, anche se non elimina l’eccesso di traffico per un’isola che dispone di pochi e tortuosi chjlometri di strade: parlo del servizio di minibus che ogni quindici minuti passano dalla banchina nuova a Santa Maria fino a Le Forna, e che nei giorni del mordi e fuggi si riempiono pericolosamente fino all’inverosimile. Gli autisti sono bravi, ma danno la sensazione di sfidare qualche volta la sorte, nei punti in cui la provinciale incrocia alcune zone abitate (a cominciare da Santa Maria) dove essa si dimezza a causa delle molte auto che ne occupano un lato della stretta carreggiata, anche in curva. Più che un trasferimento, allora, diventa un brivido, a guardare verso la stupenda vallecola che dall’alto si dirige strepitosa verso il mare del borgo e dei colori delle case.
A me è toccato – e ne sono grato a chi me lo ha fatto fare – anche di scendere dal punto in cui la strada per Cala Feola si interrompe di fronte alle ultime case della breve strada. Lì puoi scendere verso la solitaria (un tempo) spiaggetta di Cala Feola percorrendo una lunga scalinata di oltre duecento gradini, che seguono pedissequamente tutte le curve e tutti i livelli che la costa collinare disegna per accompagnarti fino al mare. E’ un’impresa scendere, è una doppia impresa a risalire quei gradini, specie se hai approfittato della discesa per consumare un pasto nel piccolo ristorante che si appoggia ad uno dei grandi scogli di tufo grigio che si staccano dalle pareti ripide, oggi spesso ricoperte di tante, troppe case.
Del ristorante dirò nei prossimi giorni. Quando finisce anche l’ultimo dei duecento e passa gradini ti smarrisci, perché ti troverai su uno scoglio privo di percorso, e ricco di bozzi e di piccoli ostacoli, che percorrerai però senza timori. Sotto batte l’acqua del mare di Cala Feola, che è un mare stupendo. Al di là ci sono le piscine naturali, altro piccolo miracolo, e la spiaggia che rievoca la pace delle spiaggette disadorne di tante isole dove ci si riconcilia con la natura. (Continua. 1)