3 Aprile, 2019 - Nessun Commento

KAPPLER SI SPOSO’ A GAETA
PRIMA DI FUGGIRE IN GERMANIA

KAPPLER FOTOLa foto che pubblichiamo in questa pagina (Copyright) ha un particolare valore storico alla luce delle vicende successive. Mostra Anneliese Kappler, seconda moglie dell’ex ufficiale nazista Herbert Kappler – comandante della polizia nazista a Roma durante il periodo di Roma città aperta – che sta entrando nel carcere militare del Castello Angioino di Gaeta (LT) dove Kappler stava scontando la pena per il massacro delle Fosse Ardeatine. La signora è accompagnata dall’avvocato che assisteva l’ex ufficiale nazista.

Questo mese di marzo del 2019 ha segnato il 75mo anniversario della strage delle Fosse Ardeatine, dove il 24 marzo del 1944 furono trucidati 335 Italiani dalla Polizia tedesca – le SS – che vigilava su Roma Città aperta sotto il comando dell’Obersturmbahnfuhrer (tenente colonnello delle SS) Herbert Kappler . Ad agosto ricorrerà anche il 47° anniversario della rocambolesca e misteriosa fuga di Kappler dall’ospedale di Regina Coeli dove era stato ricoverato per un tumore al colon. Mentre, però, delle Fosse Ardeatine in generale si sa quasi tutto, di quella fuga di Kappler sono rimasti oscuri numerosi aspetti.

Breve riepilogo: il 23 marzo 1944 un manipolo di Gappisti (aderenti ai Gruppi d’Azione Partigiana) organizzarono un attentato ai danni di una compagnia del battaglione di polizia Bozen di stanza in Roma, che transitavano ogni giorno nella stretta via Rasella, presso piazza Barberini. Fu fatto esplodere un carrettino metallico, in dotazione ai netturbini romani, che conteneva un pesante pacco di esplosivo. La compressione d’aria nella stretta via che ne impedì la dispersione e la pioggia di schegge metalliche fecero strage tra i tedeschi. Ne morirono sul posto 32 e uno dei feriti morì il giorno dopo.

Hitler ordinò personalmente la rappresaglia: dovevano essere immediatamente fucilati dieci italiani per ogni tedesco morto (in realtà si trattava di cittadini provenienti dall’Alto Adige, regione italiana che, dopo l’armistizio del settembre 1943, era stata annessa al Reich tedesco. Kappler dovette in tutta fretta trovare i 330 cittadini italiani da sacrificare alla rabbia hitleriana. Dopo circa 24 ore di affannose ricerche, furono radunate le vittime sacrificali, prese dal carcere di Regina Coeli, e dalla famigerata sede di via Tasso, dove furonoconsumate torture e uccisioni da parte dei nazi.

L’ultimo gruppo ancora mancante fu scelto dal questore di Roma Pietro Caruso, tra le persone che per un caso o per l’altro, si trovavano a Regina Coeli. Caruso fu poi linciato dai romani come condanna per la sua adesione a quel delitto. Il suo corpo fui altrettanto barbaramente gettato nel Tevere. Le vittime prescelte che vennero portate alle cave di pozzolana lungo la via Ardeatina, alle porte di Roma, e qui venero giustiziate, stando in ginocchio, le mani legate dietro la schiena, a gruppi di cinque. Furono impegnati nel macabro rito tutti gli uomini della polizia tedesca, anche quelli che avevano provato a rifiutare la propria complicità alla barbara vendetta. Lo stesso Kappler dette il via alla esecuzione, e con lui tutti i suoi ufficiali, sottufficiali e soldati, che vennero “preparati” stordendoli con vigorose sorsate di cognac che attutissero la reazione emotiva allo scempio che stavano compiendo. Il tutto durò alcune ore. Al termine della strage si contarono 335 assassinati, cinque in più dei 330 votati alla morte. Un “banale errore di calcolo”, furono definiti i cinque assassinati in più. Per la verità venne uccisa anche una povera donna che stava cogliendo nei pressi delle cave la cicoria necessaria per il pasto quotidiano. Fermata da un gendarme tedesco, venne passata per le armi per evitare che diffondesse la notizia. La cui atrocità si tentò dai tedeschi di coprire facendo saltare le volte della cave di pozzolana, con esplosivo. Le cave furono aperte qualche anno dopo la fine della guerra, e le salme vennero ricomposte nell’odierno cupo mausoleo (a proposito: migliaia di “gite” scolastiche ormai hanno come giusta meta Auschwitz, per ricordare l’Olocausto di cittadini ebrei, italiani e di molte altre nazioni, annientati in quell’infernale gorgo; perché qualcuno non pensa che anche il Mausoleo delle Ardeatine è un luogo della memoria da conoscere e onorare? Vi sono sepolti 247 civili, 69 militari e 71 ebrei, tutti italiani, 6 dei quali non sono mai stati identificati. Tra gli assassinati anche un sacerdote, don Pietro Pappagallo. In loro ricordo fu costruito il Sacrario che accoglier le loro salme, inaugurato il 27 novembre 1957.

Un tribunale militare italiano, nel luglio 1948, condannò Herbert Kappler all’ergastolo, da scontare nel carcere militare di Gaeta che era situato presso il castello angioino. A Kappler furono riconosciute ampie agevolazioni, anche quella di allevare piccoli uccelli in gabbia. Qualche anno dopo l’ex comandante delle SS di Roma contrasse matrimonio civile con una signora tedesca. Venivano entrambi da un divorzio. Il matrimonio fu celebrato con rito civile nel castello di Gaeta. La nuova signora Kappler si chiamava Anneliese. Visitò a Gaeta il suo promesso sposo più volte. Dopo il matrimonio celebrato nel 1972 dall’ufficiale di stato civile del Comune di Gaeta (fu incaricato un assessore socialista, Pasqualino Pelosi) Kappler cominciò ad accusare un malessere che fu diagnosticato come tumore al colon, e, nel marzo 1976, l’allora ministro democristiano Arnaldo Forlani gli sospese la esecuzione della pena, il che consentì il trasferimento del detenuto nell’ospedale militare del Celio a Roma. E qui si consumò l’ultima vicenda italiana di Herbert Kappler. Nella notte tra il 14 e il 15 agosto del 1977, Anneliese Kappler, la nuova moglie, che si era recata a visitarlo, attuò un audace piano: fece alzare dal letto in piena notte l’ex ufficiale, lo avvolse in una coperta per impedire che si vedesse che indossava ancora il pigiama, lo face scendere per le scale e nel giardino del Celio trovò un’auto a noleggio sul cui sedile posteriore l’uomo fu fatto stendere. La macchina uscì dall’Ospedale senza alcun controllo, e si recò all’Eur, allora periferia della Capitale. Qui. Kappler e Annelise salirono su un’altra vettura guidata dal figlio di Kappler che guidando per tutta la notte, giunse quasi all’alba a Bolzano, dove salirono su un treno diretto in Germania. Alla frontiera Brennero nessun controllo e l’ormai ex detenuto si trovò ad attraversare rapidamente l’Austria e ad entrare in Germania. Qui sopravvisse due anni prima che la malattia che lo affliggeva lo uccidesse.

Nel frattempo, dopo la sospensione della pena, Kappler avrebbe anche potuto beneficiare della scarcerazione una volta ricoverato al Celio. Il documento fu firmato, ma un’ondata di pubbliche proteste portò alla revoca dell’ ordine. I dettagli della fuga furono rivelati al settimanale “Oggi” nel settembre 2011 dal figlio di Kappler, Ekehard Walther, che fu tra i complici della fuga, insieme ad alcuni amici. Essa faceva giustizia della versione, alquanto incredibile, che era stata messa in circolazione: Kappler, consunto dal male e ridotto di peso fino ai limiti della sopravvivenza, sarebbe stato chiuso dalla moglie in una valigia e portato via senza che una uscita notturna da un ospedale militare suscitasse alcun interrogativo in chi doveva sorvegliarlo, un paio di Carabinieri che non avrebbero dovuto neppure entrare nella stanza, secondo le direttive ricevute. Il figlio di Kappler ha invece rivelato che la fuga era stata preparata nei minimi particolari da una decina di amici fidati, tedeschi ed italiani, forse con l’aiuto della Organizzazione Odessa, che sottrasse alla giustizia di fine guerra numerosissimi gerarchi nazisti, fatti emigrare in Argentina. Il figlio di Kappler rivela che il padre doveva essere trasportato a Monaco di Baviera con un aereo civile noleggiato in Germania che, però, accusò un danno al motore che lo costrinse ad atterrare a Milano. Il piano fu cambiato, e scesero in campo alcune automobili. Anneliese Kappler trasporto il marito dal Celio all’Eur a Roma. Qui tre auto del figlio e di amici di Kappler lo scortarono fino a Bolzano, dove l’ex ufficiale fu trasferito su un treno diretto in Germania. Nessuno controllò i documenti, una volta a bordo. Il resto è facile da intendere. Questa storia è rimasta coperta dai segreti della “ragion di Stato”: perché la sospensione della pena, perché l’ordine di scarcerazione, perché la omessa sorveglianza, perché nessun allarme, perché i due coniugi avrebbero potuto liberamente compiere un percorso senza che nessuno li vedesse in un ospedale militare, in piena notte, superando la sbarra di uscita a bordo di una macchina, perché nessuna sorveglianza fu esercitata alla frontiera del Brennero.

E altre cose. Ma tant’è stato. I misteri dell’Italia post fascista, che rievocano anche il famoso “armadio della vergogna” dove furono sepolti centinaia di fascicoli a carico di criminali nazisti che scamparono al giusto processo, sono rimasti tali: la strage di piazza Fontana, la morte di Mario Pinelli, la bomba del treno Italicus, la strage della stazione di Bologna, la distruzione dell’aereo Itavia su Ustica, Per qualcuno che volesse rilasciare altre interviste per spiegarli.

 

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