220 ANNI FA A FONDI E NEL SUD
TRA FRANCESI E INSORGENZA
Si saltano le vicende della insorgenza terracinese e quelle di Monticelli (o Monticello, oggi Monte San Biagio), andando a pie’ pari a Fondi. La città, la prima del regno di Napoli sulla strada dei Francesi, fu presa d’assalto la vigilia di Natale e conquistata con un solo colpo di cannone che, dicono le cronache, distrusse [s1] la Porta romana e uccise un contadino che camminava nei paraggi. La furia francese fu terribile: venne incendiato l’antichissimo teatro baronale, risalente al XII-XIII secolo (mai più ricostruito), saccheggiati e bruciati sulla pubblica piazza i documenti dell’anagrafe, dell’archivio comunale, del palazzo baronale, “inclusa la ricca biblioteca”, la maggior parte degli archivi di chiese, dell’episcopio, dei conventi, delle corporazioni, persino dei privati, come la famiglia Calamita, che custodiva il Libro delle Assise con le consuetudini della città. Era la cancellazione della memoria di una comunità. Molte chiese furono incendiate e profanate, opere d’arte distrutte o vandalizzate. L’albero della libertà fu piantato, provocatoriamente, davanti alla chiesa di S. Maria Assunta. Sullo slancio, i francesi assalirono e catturarono il fortino che difendeva Itri nelle Gole di S. Andrea, e penetrarono nel paese, che venne sottoposto a saccheggio e ad uccisioni. Anche il Santuario della Madonna della Civita venne depredato il 30 dicembre. Tra il 30 e il 31 dicembre, si arrese anche la piazzaforte di Gaeta, dopo una trattativa tra il governatore Fridolin Tschudy, il vescovo, i maggiorenti della città e il comando dell’esercito francese. I giacobini gaetani innalzarono due alberi della libertà. I patti di resa scongiurarono gli eccessi, ma un documento dell’archivio episcopale elenca i molti danni arrecati a varie proprietà ecclesiastiche. Nello stesso 30 dicembre i francesi occuparono i borghi di Mola e Castellone, lontano ricordo dell’antica Formiae. La conquista dette ai due centri l’occasione per riunificarsi sotto la Municipalità costituita nel gennaio 1799, con a capo gli Edili; a Mola, lungo la via Appia, fu innalzato l’albero della libertà, una colonna corinzia, poi scomparsa nell’Ottocento e della quale sono state recentemente ricostruite le vicende, con lo spostamento dalla originaria posizione e il ripristino in altro luogo. Il giorno dopo, ultimo di quel 1798, le truppe francesi raggiunsero Traetto, l’odierna Minturno, e, dopo aver lasciato piccoli distaccamenti nei paesi conquistati, si diressero su Capua, dove l’1 1 gennaio affrontarono l’esercito napoletano, sconfiggendolo. Anche a Ponza era stato innalzato l’albero della repubblica: a farsi portavoce dei nuovi sentimenti giacobini era stato il giovane alfiere Luigi Verneau, figlio del comandante della guarnigione. Come è noto, la conquista durò poco. Nella primavera del 1799 la coalizione europea iniziò una forte pressione armata sui francesi, mentre nello stato napoletano si allargava e si fortificava l’insorgenza, che diveniva fenomeno organizzato: nel sud, con le bande sanfediste guidate dal cardinale Ruffo; nel territorio della odierna provincia di Latina, con bande di “scarpitti”, contro la cui crescente aggressività i francesi reagirono duramente. Championnet ricorda che un generale non deve pensare ai lutti altrui, ma ai risultati militari, e dette una concreta e spietata dimostrazione di questo teorema a Traetto e a Castelforte, che vennero messe a ferro e fuoco. Il generale polacco Dombrowski attaccò Traetto alla baionetta la notte di Pasqua, tra il 24 e il 25 marzo 1799, provocando 349 morti. Il canonico Gaetano Ciuffi ne ha lasciato, cinquant’anni più tardi, una cronaca molto vivace. Il sacerdote attribuisce, anzi, a quell’episodio il principio fatale del decadimento di questo bel paese” che “veniva con ragione annoverato tra le più cospicue città del Regno”. Il canonico riferisce che “furono massacrate circa ottocento persone (inclusi gli individui dei paesi circonvicini)” e aggiunge: “I più belli edifici furono rovinati, o totalmente distrutti, tra i quali ricordare si deve la magnifica chiesa di S. Francesco […], distrutte restarono pure la Cartiera e la Faenziera in Scavoli [Scauri], e molti edifici quasi del tutto rovinati, tra i quali la bellissima chiesa di A.G.P. (cioè l’Annunziata) ed il palazzo del duca di Carafa”. Insieme agli edifici, ci fu razzia di beni artistici, arredi sacri, mentre molti dei libri conservati nel convento francescano e nelle chiese finirono distrutti. Tra il 25 e il 26 marzo fu assalita anche Castelforte, che patì molti morti, ma che, stando alle cronache locali, procurò molti problemi agli assalitori, che lasciarono sul terreno circa 600 uomini, cifra che, se vera, è davvero imponente. A Maranola, alle spalle di Formia, e all’epoca ancora comune autonomo, per garantirsi dalla cittadinanza l’erogazione delle vettovaglie i militari presero in ostaggio le donne, episodio che resta nella memoria popolare. Ma non si comporterà molto diversamente Fra’ Diavolo, quando, alla testa dell’insorgenza, qualche mese dopo, si sostituì ai francesi nello stesso comune per sollecitarne contribuzioni forzose. E’, ormai, l’inizio della fine di questa prima avventura giacobina, che viene preannunciata dagli episodi di Traetto e Castelforte, ma che trova riscontro anche nella occupazione di Ponza da parte della flotta britannica, il 15 aprile 1799. La reazione che si scatena sull’isola porta all’abbruciamento dell’albero della libertà, e alla successiva, barbara uccisione, il 6 luglio, al Foro borbonico, di Luigi Verneau, dopo essere stato prima condotto a Procida nel maggio e poi ricondotto a Ponza. Anche a Fondi l’alberoviene abbattuto e sostituito da un obelisco sormontato da una croce, e analoga reazione si ha a Monticelli. I francesi, ormai, si preparano a sganciarsi: Fra’ Diavolo, nel giugno del 1799, colloca il suo quartier generale tra Maranola e Formia, ponendo l’assedio a Gaeta, che conquista il 31 luglio. Da quel momento la ritirata francese non ebbe più soste, ma lasciò brutali segni del suo passaggio.
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