UNA NUOVA STORIA DELLA CADUTA DEL REGNO DI NAPOLI A GAETA
Ho avuto la fortuna di leggere in anteprima la bozza finale del libro di Antonio Di Fazio “1860 la caduta di Partenope”,. L’ho avuto tra le mani come libro compiuto (èdito da Araneus/Narrativa), ma ho impiegato almeno due mesi prima di trovare il tempo di dedicargli queste brevi note, che esso merita completamente. E non perché Di Fazio sia un mio importante e illustre Amico, ma perché ne vale la pena, pur se il contenuto del libro si presti, a mio avviso, a qualche riguardosa considerazione. L’ambientamento è quello degli ultimi mesi del Regno di Napoli, e da quando si è deciso di ricordare storiograficamente i 150 anni di quell’avvenimento (concluso con l’assedio di Gaeta, dal 4 novembre 1860 all’11 febbraio 1861, con la caduta dell’ultima vera piazzaforte borbonica), la letteratura che si definisce genericamente e spesso impropriamente “revisionista” e un po’ nostalgica (una nostalgia che dura da un secolo e mezzo!) ha fatto premio su quella oggettivamente storica, anche spietatamente storica. Anche Antonio Di Fazio si colloca sul versante “nostalgico”, ma la sua è una nostalgia largamente temprata da una profonda conoscenza del contesto storico generale, italiano ed europeo, e, quindi, sapendo di cosa sta parlando, si muove con passo deciso ma informato nel groviglio degli avvenimenti e nell’atmosfera di quei complessi giorni, i giorni di una guerra mai dichiarata e perduta prima ancora di essere combattuta perché la storia, evidentemente, marciava in quella direzione; l’annessione del Regno di Napoli al Piemonte come primo e fondamentale passo verso l’Unità d’Italia. La trama è solo un pretesto, ben pensato, per raccontare le profonde contraddizioni di quei giorni, la divisione degli spiriti su quel che stava accadendo, la lotta impari quanto straordinaria, iniziata con Mille uomini e proseguita con il voltafaccia della maggior parte della alta ufficialità napoletana e della classe al potere, ad iniziare da alcuni politici tra i quali spiccava la figura del primo ministro don Liborio Romano. Antonio Di Fazio è persona concreta e razionale, ma ha precise origini culturali in un socialismo romantico che non sempre lo ha aiutato in questi anni della nostra era, tra rotture e ricomposizioni, alleanze e divisioni, ideali e delusioni. E nel libro – come l’ho letto io – questi sentimenti compaiono tutti. Di Fazio non fa “revisionismo” storico; fa un “re-visionismo”, guardando ad alcuni aspetti positivi dello stato borbonico, conclusosi con Francesco II, che si è voluto irridere col nomignolo di Franceschiello, ma che combatté l’ultima (e forse unica) battaglia di quella breve guerra tra le mura di Gaeta, affiancato dalla moglie Maria Sofia di Baviera, un vero “soldato”. Il mio non vuole essere un giudizio da storico, ma quello di un lettore qualsiasi. Il libro si legge molto volentieri, e qualcuno che ne sa poco di storia dell’Unità d’Italia e sue premesse, farebbe bene a comprarlo e a leggerlo. Non avrà affatto perduto il suo tempo.