LA GIORNATA DELLA MEMORIA
Il 27 gennaio scorso si è celebrata presso la scuola Alessandro Volta di Latina una giornata di ricordo delle stragi naziste, quella Giornata della Memoria che sa ritrovare, come questa volta, una capacità espressiva che è il frutto dell’interesse degli insegnanti e della capacità degli alunni di immedesimarsi. Confesso – non temo sorrisetti – che mi sono commosso e che ho sentito il bisogno di mandare un messaggio ai nostri Fratelli Maggiori israeliti attraverso una amica che conosco da tanti anni e della quale sono orgoglioso di essere amico. Si chiama Claudia Terracina, romana, con un nome che più ebreo (pontino) non si può, la cui Famiglia ha pagato il suo prezioso contributo alla Shoah, valorosa giornalista, piena di interessi, di intraprendenza, di voglia di vivere.
La consideriamo in casa una di noi e lei ci ricambia questo sentimento con altrettanto affetto. Questo vuole dire che la Giornata della Memoria mi ha coinvolto, anche se è una questione che può interessare me e la mia Famiglia e può non interessare, e forse annoiare, gli altri. Ma è difficile parlare di memoria, se non si ha la nozione dei fatti, Ed è una nozione che si acquista solo attraverso l’esperienza. Di esperienze ve ne sono almeno tre da percorrere: la visita ad uno dei luoghi di sterminio – Auschwitz è diventato il simbolo, ma non è il solo; la lettura attenta delle migliaia di testimonianze che sono state lasciate (da Annah Arendt allo sconosciuto Rinaldo Rinaldi, mio amico di Cisterna, che ormai ci ha lasciati, e che ha taciuto la sua esperienza di internato e di sopravvissuto in diversi campi nazisti: ha taciuto anche lui per 50 anni, poi ha trovato due bravissimi suoi amici, insegnanti, che ne hanno raccolto i ricordi, trasformandoli in uno splendido libro); e, infine, provando ad ascoltare qualche testimonianza, meglio diretta ma anche indiretta.
Io ho avuto la possibilità di percorrere tutti e tre questi passaggi: ho visitato Dachau, non distante da Monaco di Baviera, in una splendida e gelida giornata di sole, col vento che frustava i nostri corpi riscaldati dai soprabiti e dalle molte calorie di cui avevamo beneficiato in albergo. Quel giorno soffrii il freddo nell’ora che impiegammo per una rapida visita ed ebbi una percezione di ciò che dovettero soffrire gli internati, gli hopeless, i senza speranza che, vestiti di un leggero pigiama da recluso e privi di qualsiasi alimentazione lavoravano nel freddo inverno tedesco e dormivano nelle squallide baracche di legno, Ho letto decine, forse qualche centinaio di libri, che mi apparvero all’inizio come un racconto di Lovecraft, e che mi divennero familiarmente angoscianti. Ma non ci si può permettere il lusso dell’angoscia di fronte a quei patimenti. Infine ho avuto modo di ascoltare la vita vissuta in diretta dai lager attraverso alcuni amici e conoscenti che fecero l’esperienza di Mauthausen e di altri campi e che rientrarono a piedi da quei luoghi, miracolati, anche se ridotti a carte veline; e ho sentito i familiari di Claudia Terracina che ancora vivono il terrore e il dolore di quel 16 ottobre 1943, il giorno della grande retata di ebrei romani.
Ho avuto anche modo di ascoltare dal giovane Mario Costa di Formia, poi senatore della Repubblica e sottosegretario ai problemi del lavoro, l’ “inventore” della Università di Latina, i racconti di quel “campo climatico” (così lo chiamavano gli stessi protagonisti) che fu aperto a Formia, sulla costa di Giànola, per agevolare l’Exodus verso Israele di coloro che si erano salvati; ed ho ricevuto testimonianze scritte da chi, lavorando nei cantieri Orlando Castellano di Gaeta, ormai chiusi, cooperò da dipendente alla rimessa in mare di pescherecci e imbarcazioni da diporto che trasportarono ebrei smunti e consunti sulle coste della Palestina.
Sono cose note? Certo che lo sono, ma non a tutti. Anzi, poiché gli anni sono passati e le manifestazioni a volte sopiscono il senso della tragedia, riducendolo ad opaco rituale, quelle cose non vanno dimenticate e chi è abbastanza giovane da non averle viste che sui libri, farebbe bene a leggerne altri, quanti più ne può. E a permettersi una visita a Birkenau, a Dachau (due paesi pontini si sono gemellati: Fondi con Dachau e Cori con Auschwitz). Non per soffrire, ma per capire.