QUEI DUE LITRI DI OLIO REQUISITI
DALLA POLIZIA PARTIGIANA
Dalle non molte carte che mi sono rimaste di mio padre, è saltato fuori all′ improvviso, un foglietto bianco con una intestazione che gli ha attribuito un significato che, nelle precedenti volte in cui mi era passato tra le mani, non avevo notato. L′ intestazione “COMANDOPOLIZIA PARTIGIANA – Lavezzola (Ravenna)”. Sul foglietto, cinque righe scritte a mano con grafia leggibile, concluse da un timbro tondo con la stessa scritta dell′ intestazione (il fascino dei timbri è noto in Italia, ma anche in tempo di guerra, o quasi). La data è altrettanto significativa: 24.8.1945, tre mesi appena dopo la conclusione delle ostilità. Lo scritto a mano dice: “Oggetto: requisizione. Il Signor Sottoriva Emilio è stato posto al fermo del nostro posto di blocco, qui a Lavezzola, dove è stato requisito di due litri di olio ne rimane per lui 9 litri: costatando i bisogni che occorre e necessita la propria famiglia, si prega di non requisirle più nessun litro a suo carico”. Si riuscirebbe anche a intravvedere il nome della firma, ma qui non vale la pena citarlo. Che cosa ci facesse mio padre nel 1945 nella a noi sconosciuta Lavezzola di Ravenna, non saprei proprio dire, né saprei dire se la richiesta del Comando Polizia Partigiana che gli aveva requisito quei due litri di olio sia stata ascoltata dai successivi posti di blocco, e se, quindi, mio padre sia riuscito a trasportare fino a Cisterna di Littoria (si chiamava ancora così) quel prezioso alimento di cui “abbisognava e necessitava” la lontana famiglia. È un episodio che si è perduto nella confusione del dopoguerra, che per la nostra famiglia fu un prosieguo della guerra in una Cisterna demolita dai bombardamenti aerei americani e inglesi, da tre giorni di aspra battaglia tra essi e i tedeschi che ne avevano fatto una Festung (22-25 maggio 1944), la disperata mancanza di casa nostra, polverizzata dalle esplosioni e dispersa persino nelle macerie, utilizzate per tamponare le buche aperte dalle bombe sulla strtada per Nettuno che iniziava a pochi metri da quella stessa casa. Cisterna era un fantasma, ed era un fantasma reso pericoloso da migliaia di mine disseminate dappertutto, da depositi di armi ed esplosivi lasciati dai due eserciti che vi erano rimasti contrapposti dalla fine di gennaio fino a maggio 1944; dalla penuria assoluta di generi alimentari, anche se cominciava a circolare quella polvere verde che chiamavamo “polentina”, ottenuta dalla sfarinatura di piselli, distribuita dagli alleati e che per noi bambini era gustosissima. La fame rende tutto più appetitoso. È più che plausibile che mio padre – non so con quale mezzo e in quali circostanze – si sia recato da Cisterna in Romagna, e che, magari abbia colto un′occasione per procurarsi quegli 11 litri di olio (ma anche da noi si coltivano olivi) sottoposti alla requisizione che, però, salvò il grosso del provvidenziale acquisto. So per certo che mio padre non faceva il “borsaro nero” e, perciò, a parte il piccolo valore storico di quel foglietto, resta la soddisfazione di aver ricostruito anche un attimo sconosciuto di una vita che dalla natìa Bolzano e dalla Rovereto della sua infanzia e adolescenza, lo portò prima sul bordo della Palude pontina, dove conobbe e sposò mia madre, e poi in giro per Africa coloniale e Albania, dove diresse cantieri per costruzioni di opere pubbliche tra Valona e Tirana. Ma questo non interessa a nessuno, tranne me.