EMILIO LAVAGNINO E GIULIO BATTELLI, I NOSTRI MONUMENTS MEN
Il film di George Clooney “Monuments Men” ha risvegliato un (assai tardivo) interesse di molti sulle vicende del salvataggio della maggior parte del patrimonio artistico dalle razzìe tedesche. Ed ha emozionato molti che in precedenza non sapevano neppure di cosa si trattava. Poco male, non è mai troppo tardi. Ora l’interesse è rinnovato dal secondo libro scritto da Robert M. Edsel, “Missione Italia. La sfida per salvare i tesori d’arte trafugati dai nazisti”. Ma se erano ignote molte di quelle vicende, altrettanto lo sono state e lo sono quelle che riguardano quanto è avvenuto nel Lazio e in provincia di Latina: si ripetono qui emozioni e sorprese di chi ha finora ignorato che quello stesso problema di salvaguardia di beni artistici c’è stato anche per le province laziali, e non è stato da poco, sol che si pensi alle straordinarie ricchezze che si trovavano, al momento della guerra, custodite in musei, chiese, edifici storici. In provincia di Latina le razzìe sono state compiute senza distinzione di tipologia artistica. Il museo aurunco voluto da Pietro Fedele (in verità si trovava nella campana torre di Pandolfo Capodiferro, affacciata sulla riva sinistra del Garigliano, fatta saltare in aria dalle truppe germaniche nell’autunno del 1943) fu quasi totalmente trafugato. Solo pochi anni fa è stata ritrovata a Fiuggi – dove forse era stata dimenticata – una preziosa reliquia riacquisita al nostro Paese. Dal comune di Terracina sono scomparsi i busti dello scultore danese Bertel Thorvaldsen. Da Sabaudia un celebrato dipinto del pittore Bicchi, “Riposo sui gradini della cattedrale”; da Littoria buona parte dei dipinti della Pinacoteca civica donati alla Città fascista da altre città italiane: quasi sempre opere di pittori del Novecento (ma altri dipinti presero vie, per così dire, domestiche). Nel sud, soprattutto a Gaeta, Minturno, Fondi si trovavano nelle ricchc chiese che ricordavano una potenza perduta nella materialità ma conservata nella sostanza dei beni artistici, si custodivano opere del Meung, di Girolamo Siciolante, Antoniazzo Romano, Cristoforo Scacco, Giovanni da Gaeta, Sebastiano Conca e di molti altri Autori. I Monuments Men alleati non si occuparono di queste opere, che, invece, furono recuperate e salvate da “nostri” Monuments Men, inviati dal Vaticano a raccogliere e portare a Roma le maggiori opere, che furono poi restituite a fine guerra, spesso restaurate. Dal Duomo di S. Erasmo in Gaeta, dalle chiese della SS Annunziata, di S. Francesco e dei mille altri luoghi-museo; a Fondi dalla ex cattedrale di San Pietro, dalle chiese di S. Maria Assunta, di S. Francesco e altre, e un po’ in tutta la Provincia vennero, con mezzi assai meno organizzati dei Monuments Men alleati, i nostri allora giovani studiosi, ricercatori, archivisti a raccogliere beni straordinari: lo Stendardo di Lepanto (poi restaurato in Vaticano ed ora di nuovo nel Duomo gaetano), e tanti altri dipinti che oggi possono ammirarsi ancora negli stessi luoghi da cui furono prelevati nell’autunno del 1943.
Questo prezioso lavoro fu compiuto soprattutto da Emilio Lavagnino (ed è ricordato nel libro di Raffaella Morselli “Fuori dalla guerra. Emilio Lavagnino e la salvaguardia delle opere d’arte del Lazio”; e da Giulio Battelli, scomparso solo qualche anno fa alla bella età di 104 anni. Sono loro i nostri Monuments Men, ahimé dimenticati se non del tutto sconosciuti. Meriterebbero certamente il rispetto di un ricordo.