Sul quotidiano Il Mattino comparve il 23 ottobre del 1950 una pesante nota critica di Angelo Del Boca, che sarebbe diventato uno dei maggiori storici italiani del colonialismo, tema al quale ha dedicato pagine documentate quanto aspre. Ma prima di questa sua evoluzione, Del Boca faceva il giornalista e girava l’ Italia alla ricerca di argomenti validi da proporre ai suoi lettori. E la città di Latina, all’ epoca “vecchia” di soli 18 anni, gli parve un tema interessante. Venne qui, fece le sue osservazioni e le sintetizzò in un duro articolo al quale dette un fin troppo significativo titolo: “Una giovane città decrepita”. Da cosa traeva motivo quella critica, che emergeva già dalle premesse? Non vi può essere dubbio sul fatto che il capoluogo pontino pagava ancora lo scotto della sua nascita fascista, e dei pilastri ideologici sui quali i gerarchi mussoliniani, il duce in testa, vollero sintetizzare ed idealizzare il lavoro di bonifica delle Paludi Pontine (anni Trenta) in una “città nuova” , tutta ispirata al Razionalismo architettonico di matrice tedesca con qualche compiacimento monumentale per la romanità ed alcune innovazioni urbanistiche, ad iniziare dalla quantità di piazze e slarghi. Del Boca non risparmia critiche soprattutto di carattere funzionale alla città disegnata da Oriolo Frezzotti, di cui dice queste cose: “una città giovane ma non moderna, una città sbagliata” e “già da rifare”. In realtà, a prescindere da queste obiezioni, che Del Boca riferisce soprattutto all architetto Vittorio D’ Erme, all’ epoca giovane professionista, inserito nella Commissione edilizia comunale, ma continuamente zittito dalla prepotenza e dall’ arroganza (fin da allora) dei politici di turno, che lo guardavano con la sufficienza di chi ha il crisma dell’ eletto dal popolo, e contro la asserita inesperienza del giovane architetto che, invece, le idee su una città moderna le aveva – a loro volta discutibili, ma chiare. Ma a prescindere dalla validità o meno e dalle motivazioni di quelle critiche d’ epoca, mette conto rilevare come Latina fin da quei primissimi anni venne a trovarsi al centro di un dibattito urbanistico al quale la politica non volle dare seguito. “Avrebbe potuto essere una città perfetta”, dice Del Boca, perché Latina sorge in una pianura priva di preesistenze, di ostacoli naturali, di condizionamenti di qualsiasi genere. Ed aveva la prospettiva di passare dai circa 10 mila abitanti che la popolavano ai 50 mila che si prevedevano nel giro di appena cinque anni (in effetti, nel 1960 la città contava 49 mila abitanti, che sono un chiaro segno della rapidità del suo sviluppo). Le apparenti esagerazioni di Del Boca, erano evidentemente tese a dimostrare come la città avrebbe dovuto riorganizzarsi urbanisticamente per accogliere sia la massa di nuovi residenti, sia, soprattutto, le imprese economiche che già premevano e che la portarono in pochi anni ad affermarsi come centro di produzione economico-industriale e commerciale. E invece Latina è cresciuta non secondo ragionevoli nuovi concetti urbanistici, ma seguendo pedissequamente i ghirigori stradali tracciati da Frezzotti, senza una prospettiva aperta sul nuovo che si proponeva. Sicché Del Boca aveva forse ragione di definire Latina “giovane e già decrepita”. Latina, purtroppo, già in quegli anni denunciava il peso e la capacità di “orientare” i politici del tempo da parte dei costruttori; e, insieme, la forza dello spontaneismo edilizio (poi fu chiamato abusivismo), che ebbe la più evidente dimostrazione nella nascita di quel quartiere di Campo Boario e dintorni che non a caso venne in quei torni di tempo chiamato significativamente – e spregiativamente – Shangai. E tale si chiamò per diversi anni. I palazzi sorgevano dove volevano i costruttori: gli acquirenti degli appartamenti avrebbero poi costituito la massa d’ urto necessaria per convincere gli amministratori comunali a dotare quei terreni di strade che non esistevano e che non erano previste; di apparati elettrici, di infrastrutture per lo smaltimento dei liquami, di acquedotti, con un costo “pubblico” enormemente superiore a quello che si sarebbe avuto se le cose fossero state pianificate a misura di città e non a misura dell’ esigenza dei costruttori. I quali sono, poi, rimasti i veri padroni della politica urbanistica, come anche le odierne vicende di Latina dimostrano ad abbondanza in questi mesi.