8 Settembre, 2015 - 1 Commento

RITORNA ALLA LUCE
A SERMONETA
LA MACCHINA DELL’ ACQUA

macchina acqua sermonetaAd iniziativa dell’ Associazione Amici del fiume Cavata, che sta compiendo una benemerita opera di valorizzazione del circuito fluviale in Agro Pontino, promuovendo l’ uso della canoa sui tratti più suggestivi dell’ itinerario idrico della ex bonifica, sono stati avviati e compiuti i lavori di ripulitura e di restauro visivo di un antichissimo edificio tecnico, la c.d. “macchina dell acqua” in territorio di Sermoneta. L’ edificio, che risale al XIX secolo, fu realizzato da Casa Caetani allo scopo di garantire il rifornimento idrico della grande cisterna del castello medievale che domina il grazioso e suggestivo centro abitato lepino. La macchina, poi, fu utilizzata per assicurare il rifornimento allo stesso Comune e ad altri aggregati collinari. Donata dalla Famiglia Caetani all’ Amministrazione comunale sermonetana, la macchina dell acqua perse importanza con la realizzazione degli acquedotti civici, e andò in deperimento, pur senza perdere i suoi antichi connotati di primo strumento tecnico-idraulico. La “macchina” in effetti, pompava acqua dal fiume Cavata e la immetteva, attraverso un sistema di pompe, in condotte che salivano dalla pianura pontina fino al punto più alto della collina lepina. Rappresenta, dunque, una parte importante della storia del territorio e del suo insediamento. Ma lo stato di abbandono aveva fatto sì che l’ edificio che ospitava la “macchina” fosse ricoperto di rovi. La Associazione Amici del fiume Cavata ha compiuto un’ opera di pulizia che ha restituito alla visione del pubblico quella che oltre ad essere una curiosità, è parte della storia del territorio. Nella foto l’ edificio come appare dopo la ripulitura.

24 Agosto, 2015 - Nessun Commento

RIEMERGE DALLA SABBIA UN FRAMMENTO DELLA DIGA SETTECENTESCA DISTRUTTA NEL CANALE DI SABAUDIA

torre paolaPoco dopo la metà di luglio, dalla sabbia della spiaggetta di Torre Paola, alla base occidentale del promontorio dei Circeo, in Comune di Sabaudia, è riemerso un frammento del passato monumentale di questa splendida area. Si tratta di un pezzo della epigrafe che ornava e documentava la grande diga che i papi del Settecento fecero costruire sul canale di navigazione romano che dal mare di Torre Paola conduce al lago omonimo, adagiato lungo la moderna città. La diga serviva a frangere l’ impeto dei marosi e impedire che essi si riversassero con tutta la loro forza nello stretto canale, minandone alla base le forti banchine dell’ antico porto romano, e mettendo a repentaglio la miracolosa stabilità e l’ incredibile equilibrio che nei secoli ha tenuto ferma al suo posto la montagna di sabbia e di duna che si alza ai lati dello stesso canale. Se la duna cedesse, essa si riverserebbe e colmerebbe il canale, interrompendo il ricambio vitale dell acqua di mare e del meraviglioso bacino interno. Per contro, la diga, vista dalla parte interna, fa da barriera al defluire indistinto delle acque lacustri nel mare. Un tempo solo per impedire una evasione dei pesci che vi si allevavano nella Azienda Vallicola del Lago di Paola; oggi (anzi, ieri) per proteggere lo specchio lacustre.

Due volte dal Settecento la diga è stata violata: durante l occupazione nazista della Pianura Pontina dopo l’ armistizio dell’ 8 settembre, e quello fu un mero atto di teppismo bellico e di vandalismo ignorante, perché far saltare in aria quella diga non procurava alcun vantaggio al progetto di allagamento messo in atto dalle truppe per frenare l avanzata alleata. La seconda volta è stato negli anni Novanta del Novecento, quando uno dei proprietari del lago, con un colpo di mano notturno, demolì la diga (nel frattempo ricostruita con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno) allo scopo di eliminare un ostacolo alla navigabilità del canale e alla portualizzazione del lago. Nessuno ha imposto al demolitore la ricostruzione del monumento.

Come si accennava, la grande epigrafe dedicatoria apposta nel Settecento a ricordo e a spiegazione della erezione dell opera, volò in pezzi e nessuno si preoccupò, dati i tempi di guerra, di tentarne un recupero, neppure quando fu riedificata la diga. Quel frammento riemerso dalla sabbia appartiene a quella epigrafe, e ne costituisce preziosa testimonianza. E’ stato recuperato e ci si augura che possa figurare nel Museo del Mare e della Costa di Sabaudia.

 

18 Luglio, 2015 - Nessun Commento

LATINA NEL DOPOGUERRA UN’ OCCASIONE PERDUTA – Una forte critica di Angelo Del Boca del 1950

latina nel dopoguerraSul quotidiano Il Mattino comparve il 23 ottobre del 1950 una pesante nota critica di Angelo Del Boca, che sarebbe diventato uno dei maggiori storici italiani del colonialismo, tema al quale ha dedicato pagine documentate quanto aspre. Ma prima di questa sua evoluzione, Del Boca faceva il giornalista e girava l’ Italia alla ricerca di argomenti validi da proporre ai suoi lettori. E la città di Latina, all’ epoca “vecchia” di soli 18 anni, gli parve un tema interessante. Venne qui, fece le sue osservazioni e le sintetizzò in un duro articolo al quale dette un fin troppo significativo titolo: “Una giovane città decrepita”. Da cosa traeva motivo quella critica, che emergeva già dalle premesse? Non vi può essere dubbio sul fatto che il capoluogo pontino pagava ancora lo scotto della sua nascita fascista, e dei pilastri ideologici sui quali i gerarchi mussoliniani, il duce in testa, vollero sintetizzare ed idealizzare il lavoro di bonifica delle Paludi Pontine (anni Trenta) in una “città nuova” , tutta ispirata al Razionalismo architettonico di matrice tedesca con qualche compiacimento monumentale per la romanità ed alcune innovazioni urbanistiche, ad iniziare dalla quantità di piazze e slarghi. Del Boca non risparmia critiche soprattutto di carattere funzionale alla città disegnata da Oriolo Frezzotti, di cui dice queste cose: “una città giovane ma non moderna, una città sbagliata” e “già da rifare”. In realtà, a prescindere da queste obiezioni, che Del Boca riferisce soprattutto all architetto Vittorio D’ Erme, all’ epoca giovane professionista, inserito nella Commissione edilizia comunale, ma continuamente zittito dalla prepotenza e dall’ arroganza (fin da allora) dei politici di turno, che lo guardavano con la sufficienza di chi ha il crisma dell’ eletto dal popolo, e contro la asserita inesperienza del giovane architetto che, invece, le idee su una città moderna le aveva – a loro volta discutibili, ma chiare. Ma a prescindere dalla validità o meno e dalle motivazioni di quelle critiche d’ epoca, mette conto rilevare come Latina fin da quei primissimi anni venne a trovarsi al centro di un dibattito urbanistico al quale la politica non volle dare seguito. “Avrebbe potuto essere una città perfetta”, dice Del Boca, perché Latina sorge in una pianura priva di preesistenze, di ostacoli naturali, di condizionamenti di qualsiasi genere. Ed aveva la prospettiva di passare dai circa 10 mila abitanti che la popolavano ai 50 mila che si prevedevano nel giro di appena cinque anni (in effetti, nel 1960 la città contava 49 mila abitanti, che sono un chiaro segno della rapidità del suo sviluppo). Le apparenti esagerazioni di Del Boca, erano evidentemente tese a dimostrare come la città avrebbe dovuto riorganizzarsi urbanisticamente per accogliere sia la massa di nuovi residenti, sia, soprattutto, le imprese economiche che già premevano e che la portarono in pochi anni ad affermarsi come centro di produzione economico-industriale e commerciale. E invece Latina è cresciuta non secondo ragionevoli nuovi concetti urbanistici, ma seguendo pedissequamente i ghirigori stradali tracciati da Frezzotti, senza una prospettiva aperta sul nuovo che si proponeva. Sicché Del Boca aveva forse ragione di definire Latina “giovane e già decrepita”. Latina, purtroppo, già in quegli anni denunciava il peso e la capacità di “orientare” i politici del tempo da parte dei costruttori; e, insieme, la forza dello spontaneismo edilizio (poi fu chiamato abusivismo), che ebbe la più evidente dimostrazione nella nascita di quel quartiere di Campo Boario e dintorni che non a caso venne in quei torni di tempo chiamato significativamente – e spregiativamente – Shangai. E tale si chiamò per diversi anni. I palazzi sorgevano dove volevano i costruttori: gli acquirenti degli appartamenti avrebbero poi costituito la massa d’ urto necessaria per convincere gli amministratori comunali a dotare quei terreni di strade che non esistevano e che non erano previste; di apparati elettrici, di infrastrutture per lo smaltimento dei liquami, di acquedotti, con un costo “pubblico” enormemente superiore a quello che si sarebbe avuto se le cose fossero state pianificate a misura di città e non a misura dell’ esigenza dei costruttori. I quali sono, poi, rimasti i veri padroni della politica urbanistica, come anche le odierne vicende di Latina dimostrano ad abbondanza in questi mesi.

 

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