Il Tevere dovrebbe essere una straordinaria risorsa anche come "struttura" di servizio urbano di Roma. Resta, invece, sempre un apparato di estrema periferia al centro della Capitale d'Italia che in questo modo dimostra di essere solo una entità provinciale. Il caso più evidente è costituito dai graffiti che l'artista sudafricano William Kentridge ha realizzato con un autentico colpo di genio sugli altissimi muri che fiancheggiano e contengono il biondo fiume. Si tratta di colossali raffigurazioni di alcuni episodi della plurimillenaria storia di Roma, dalla Lupa di Romolo e Remo fino alla Dolce Vita di Federico Fellini. La genialata viene dal fatto che per realizzare le sue opere Kentridge non ha fatto ricorso alle vernici, ma solo ad un’opera di pulizia dei muri. Questi sono abitualmente coperti – da bianchi di pietra che erano all’origine – da una patina nera e consistente fatta di muschi, licheni, smog, che li ha resi neri e tetri e che danno il senso dell’abbandono e dello sporco. Kentrige ha pensato che togliendo via la patina nei punti opportuni – anziché aggiungere vernici da graffitari qualsiasi – avrebbe raggiunto un doppio risultato: realizzare opere d’arte; ed eseguire una operazione di igiene urbana. Ed ecco, quindi, che chi scende sulle banchine che costeggiano il Tevere si trova davanti – tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini – una parata di opere di grandi dimensioni (parecchi metri in altezza e larghezza), che suscitano stupore e ammirazione.
Roma dovrebbe essere grata, dunque, ad un artista che si è speso al meglio e che ha realizzato anche una curiosità che si aggiunge al gigantesco patrimonio di storia e cultura di quella che è stata la Capitale del mondo intero. E, invece, che cosa è accaduto? Che è stata autorizzata una parata di bancarelle che, restringendo la banchina lungofluviale, riducono al visitatore la capacità di percepire ad adeguata distanza tutta l’imponenza delle varie figure effigiate grattando lo sporco e mettendo in luce il bianco della pietra sottostante. Una piccola e volgare operazione di bottega che ha involgarito un segno artistico proprio là dove poteva essere tranquillamente evitato. Ma non basta.
Kentridge non ha ricevuto neppure l'onore di una pulizia delle ripide e lunghe scale che conducono dal Lungotevere fino alla banchina. Per scenderle bisogna turarsi il baso, perché sono autentici orinatoi. Non solo:; appena si scende l'ultimo scalino, se non si sta attenti si rischia di essere travolti da una bicicletta o da un runner o da un jogger che percorrono numerosi la pista pedonale-ciclabile che inizia proprio dove finiscono le scale. Non è un solo cartello che indichi il pericolo. E infine: nessuno ha pensato che un’opera strana e importante come quella di Kentridge avrebbe meritato la spesa di qualche euro per istallare frecce direzionali e indirizzare i turisti e gli stessi romani in modo adeguato. Se non sai chi è Kentridge e che cosa ha fatto, non vedi nulla. Al Comune di Roma non frega niente. Che peccato!