5 Febbraio, 2020 - Nessun Commento

LATINA CITTA’ “MAFIOSA”?
PARTE UNA NUOVA BONIFICA

gina cetrone
L’arresto di una persona è sempre un fatto traumatico per la società. Lo è in senso intrinseco, in quanto il magistrato che deve adottare il provvedimento si confronta con la propria coscienza e  assume tutto l’onere di tale confronto, in termini di dovere e in termini di responsabilità. Lo è riguardo alla società in, quanto è la manifestazione della scoperta (ancora da accertare in via definitiva) di una lesione delle regole che presiedono al retto comportamento dei singoli componenti di quella società.

Questa è una premessa di genere. Poi c’è una premessa di tutela e garanzia del cittadino colpito dal provvedimento di arresto: la nostra Costituzione dispone che il cittadino sottoposto a indagine debba essere considerato sempre innocente – malgrado l’arresto – fino alla sentenza definitiva e consolidata, comunque essa si formi.

Di fronte ad un provvedimento inatteso, radicale e impattante come l’ordine di arresto della consigliera regionale Anna Cetrone, perciò, si attraversa la fase della emozione data della notizia, e la fase della riflessione sulle tutele dovute a chi ne è stato colpito. Tanto più importanti sono sia la fase emotiva che la fase tutoria quando la persona colpita rivesta o abbia rivestito un ruolo pubblico, sia per  la responsabilità  più intensa che dovrebbe investire il protagonista per la pubblica fiducia che essa presuppone e che ad essa si accorda. Il clamore che circonda la notizia resa pubblica crea reazioni di sconcerto, di frustrazione, di rabbia e di umana pietà.

L’arresto della consigliera regionale Anna Cetrone, già anche consigliera provinciale, accusata di essersi affidata a metodi
confliggenti con la pubblica fiducia che ella invocava a proprio premio, va, perciò, considerato e valutato con tutte le dette
premesse. Tutte le cautele e tutte le garanzie di cui si è detto sopra. Ma l’incidente in cui è occorsa muove indubbiamente
considerazioni ancora più pregne di emozione di quanto non accada per una persona qualsiasi. Perché un consigliere eletto rappresenta anche ciascuno di noi. E noi non possiamo sentirci tranquilli se chi ci rappresenta viene arrestato.

Ma il magistrato avrà pure valutato tutte le implicazioni negative che il suo ordine di arresto comportava. E quello che se ne ricava è la particolare odiosità delle ragioni che lo hanno determinato: l’essersi, la presunta rea.   affidata alla forza cogente di un clan
criminale per ottenere la fiducia rappresentativa che ella avrebbe esercitato in nome di quella onestà che ella stessa invocava e forse tradiva contemporaneamente.

Che Latina navigasse – e navighi – in una melma di fatti criminali e criminogeni, sia pure limitati quanto odiosi, è indubbio ormai dopo le prime sentenze definitive che hanno individuato il formarsi e il radicarsi all’interno della sua società di nuclei tumorali capaci di distruggerne la vitalità, la considerazione o affidabilità esterna, l’immagine di tutta la cittadinanza onesta. Tanto indubbio da meritare che un pool di magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia venisse destinato espressamente a monitorare e a tenere sotto controllo la situazione. Siamo, purtroppo, anche noi in terra di mafia, questo cancro che sta risalendo (o ha risalito) la penisola e si è infiltrato anche nella vita pubblica, o, meglio in qualche suo angolo neppure nascosto. I mafiosi operano alla luce del sole, ma inseguirli ha suscitato finora cautele. Ora la magistratura ha iniziato il repulisti e l’Amministrazione ha fatto la sua parte. Forse era proprio questo il senso di quello slogan lanciato per mobilitare l’elettorato cittadino tre anni fa: “Riprendiamoci la Città” che era finita in mani sporche che potevano continuare ad allargare l’area dello sporco. E tuttavia, l’apprendere – con tutte le cautele spiegate – che ancora non è stato grattato il fondo del barile per rimuoverne la morchia puteolente che vi ristagna da tempo è ragione di preoccupazioni gravissime, ma, vivaddìo, anche di soddisfazione per i progressi che vanno facendosi, verso un riscatto e una redenzione. Lo sconcerto suscitato dall’arresto di Anna Cetrone – giovane donna, madre, cittadina di quell’area lepina che sembrava la garanzia della pulizia e della semplicità di vita, emersa alla vita politica prima come consigliera provinciale, poi come consigliera regionale – è stato grande. Tutto è ancora da dimostrare, e Anna Cetrone va considerata innocente fino alla fine della lunga trafila processuale. Ma non vi è dubbio che il colpo ricevuto dall’opinione pubblica è stato di quelli che fanno male. Anche le difese che solitamente si elevano per un dovuto garantismo hanno vacillato al sentire accostare il suo nome a quello del clan Di Silvio, da qualche anno nel mirino della Giustizia, dopo essere cresciuto per decenni, ignoto solo a pochi, soprattutto stranamente ignoto a chi, anche in campo politico,  ha il dovere di sapere quasi tutto sui personaggi che si danno molto da fare e capaci di creare con mezzi inspiegabili e inspiegati vistose forme di ricchezza. Ci sono voluti due pentiti ad aprire il forziere di queste situazioni criminose. La Città non può non dire grazie all’apparato di controllo civile e militare, ma dovrà alzare sempre più la guardia verso coloro che hanno agito quanto meno da passivi favoreggiatori in campo politico di questa ascesa che ha fatto della nostra Città un’area da bonificare nuovamente. Con le manette e la prigione.

25 Gennaio, 2020 - 1 Commento

ESCURSIONE STORICA
SUL TAGLIAMENTO
DOVE RIMASE UCCISA
LA MEDAGLIA D’ARGENTO
SIMONE CORSI

volantino simone corsi

 

 

 

 

 

Il Friuli pordenonese rende omaggio ai luoghi e agli uomini della
Prima Guerra mondiale. Quasi ogni settimana il museo della guerra di
Ragogna (Pordenone) organizza escursioni mirate a determinati luoghi
che furono al centro del conflitto italo-austriaco, sulle montagne,
nelle pianure e lungo i fiumi della provincia di Pordenone.
L’iniziativa è del Direttore del Museo, il dottor Mauro Pascoli, noto
storico della Prima Guerra Mondiale, alla quale ha dedicato oltre
trenta libri, mostre, rassegne, conferenze ed escursioni.

Quella prescelta per domenica 26 gennaio 2020 è dedicata al Ponte di
Madrisio, presso il fiume Tagliamento, nel quale l’Esercito Italiano
organizzò una linea di resistenza che consentisse ai militari che si
stavano ritirando dopo  lo sfondamento a Caporetto, di attraversare il
fiume e realizzare una difesa  estrema che dette poi i frutti sperati.
Il ponte si trova in comune di Morsano al Tagliamento e più
precisamente nella frazione di San Paolo al Tagliamento. Con una
attenzione che merita la riconoscenza della città di Cisterna di
Latina, nel programma della escursione storica è espressamente
menzionato il sacrificio del caporal maggiore Simone Corsi che, al
dopo la successiva morte dell’ufficiale  e del sottufficiale
comandanti, assunse la responsabilità della difesa della batteria di
cui faceva parte. Nel combattimento che seguì con i soldati austriaci
che tentavano di sfondare la ridotta, Simone Corsi rimase colpito dal
fuoco ma continuò a combattere  malgrado le ferite riportate; e quando
il nemico era ormai vicino all’appostamento, si lanciò contro di esso,
rimanendo ucciso. Aveva solo 22 anni. L’Esercito Italiano ha
riconosciuto il valore straordinario dell’atto compiuto ed ha
insignito il caporal maggiore Corsi, nato a Cisterna di Latina, della
medaglia d’argento al Valor Militare. E’ l’unica medaglia d’argento
conquistata da un cittadino di Cisterna in quella Guerra, ed è l’unica
medaglia d’argento conferita a chi combatté a Morsano-San Paolo al
Tagliamento. Già in occasione del centenario della morte, avvenuta il
2 novembre del 1917, la città e la frazione friulane vollero onorare
questo soldato organizzando una giornata a lui dedicata con mostra,
conferenze, annullo speciale, onori militari sul greto del Tagliamento
e, infine, con un libro dedicato a quell’episodio con espIlicita
menzione nella copertina del libro del sacrificio di Simone Corsi.

La salma ora riposa nella tomba di famiglia a Cisterna, dove venne
traslata nel 1922.

21 Gennaio, 2020 - Nessun Commento

SCHERZA COI FANTI DI GIANFRANCO PANNONE E AMBROGIO SPARAGNA

SCHERZAùAlla Fine della visione avevo lo stomaco ristretto, quasi gridava la sua tristezza. Ma poi la mente ha riavvolto tutta la pellicola messa su da Gianfranco Pannone, regista, e da Ambrogio Sparagna, etnomusicologo e musicista, e nel film consulente musicale. Sparagna è l’uomo che sta recuperando una tradizione fatta di parole e di suoni provenienti dal ventre della povera gente di campagna e di collina, e che sta riproponendo con spirito nuovo ad una platea che s’è fatta da tempo assai più ampia di quel Lazio meridionale dal quale era partito alcuni anni fa. Ora il suo organetto berbero (ma era costruito dai maestri analfabeti, pieni di genio e di fantasia sonora) e la sua cornamusa fatta di otri della pelle di bestiame macellato dietro l’uscio della casa isolata nella campagna aurunca e ciociara o della collina ausona, sono diventati noti anche a un pubblico più raffinato, senza perdere gli antichi odori da cui provengono.

Pannone e Sparagna hanno unito professionalità, amore per le cose vecchie (ma mica tanto) e per la vecchia gente di campagna, hanno raccolto pezzi di documentari originali dell’Istituto Luce (oggi Luce Cinecittà, che distribuisce il film), e antichi testi e antichi motivi popolari messi su in tempi di dolori e di paure, ed hanno costruito un grande documentario filmico, una grande storia che si chiama “Scherza coi fanti” . E’ la storia di retrovia, ma tragica, della povera gente che patisce dal 1860 guerre che le hanno portato in casa o che ha dovuto subire da attori, senza sapere nulla di guerre. Lo sapevano, però, gli uomini che quelle guerre hanno voluto e inventato, e che la Povera Gente vede passare sgomenta dentro le loro povere case, attori protagonisti di una vicenda che non conoscono e che sembra non riguardarli, ma che debbono patire. La strage di Pontelandolfo, in provincia di Benevento, quando le truppe del nuovo Stato unitario italiano entrano e puniscono gli abitanti in una mattanza che non risparmia vite e case. “Scherza coi fanti” è una storia di guerre “collaterali” vissute dietro le quinte della grande Storia, a cominciare dalla “guerra per l’Impero”, con le bombe che i nostri aerei sganciavano cariche di gas mortali sui miserabili villaggi dell’Etiopia e della Somalia; per proseguire con le Grandi Guerre: la Prima, la Seconda, con la lotta in montagna dei partigiani, le bombe sulla testa degli abitanti di San Lorenzo a Roma (Io, piccolissimo testimone di quei giorni del 1943 e 1944, per dire di una cosa spaventosa, orrenda, dicevo “San Lorenzo”, dove erano morti migliaia di Romani colpiti dalle bombe americane nel luglio 1943, in una Capitale che doveva restare fuori dalle bombe). E poi le battaglie nell’Africa settentrionale, dove i Nostri stavano dietro ai reparti di Rommel e di Montgomery, primi attori, ma morivano peggio degli attori principali, vestiti di stracci e armati dei “carri armati di Upim”, come li chiamavano. E facevano della “gloriosa resistenza” di El Alamein, finita in un massacro, una “gloriosa avventura”. E il racconto di quella ragazza sedicenne che venne stuprata dai marocchini, ma riuscì a vivere non dimenticando, mentre i partigiani venivano lasciati appesi ai pali della luce perché i “traditori” non dimenticassero. E la scena surreale di un Piazzale Loreto ormai inesistente, perché divorato dalla città anonima dello smog, dei Tir, dei grandi palazzi, della ignoranza di ciò che vi era avvenuto: il massacro di numerosi partigiani e la vendicativa esposizione dei cadaveri di Benito e Claretta e di alcuni gerarchi del fascio appesi per i piedi ai ferri di una pompa di benzina, e il feroce ludibrio di tanti milanesi che ne avevano prima calpestato i cadaveri e orinato su di essi, dopo aver gridato il loro “Si” alla dichiarazione di guerra al mondo che Mussolini aveva fatto solo quattro anni prima, in una piazza Venezia romana rigurgitante di gente che voleva la guerra, e applaudiva il duce (ma poi si dava da fare per non essere richiamata alle armi per combattere quella guerra, per non indossare la divisa, o per guadagnarsi un tozzo di raro pane o di olio alla borsanera nostrana). Sullo sfondo di questi fatti umani, le canzoni che la povera gente si era inventata per fare degli episodi che viveva una storia che portasse anche il suo nome. Nome di reietti, di poveracci, di derelitti, di mortiammazzati. Lo stomaco mi si è ristretto davanti a questo racconto, bello nella brutalità delle immagini d’epoca, un po’ sfocate, un po’ arruffate, che avevano per protagonisti sempre loro, la Povera Gente. E le canzoni che si era inventata per far vedere che c’era anche essa in quella Storia di cose brutte e di cui non sapeva nulla. E forse non ha saputo neppure dopo.

 

 

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