16 Aprile, 2020 - 2 Commento

IL CORONAVIRUS E I TEMPI DELLA GUERRA

4.A.CISTERNA EMERGENTI DALLA GROTTAMi sono chiuso in casa il 5 marzo scorso. Lo ricordo con precisione solo perché il giorno prima è stato il mio compleanno di persona ormai ben dentro “quella certa età” che di certo non ha nulla. Il resto d’Italia aveva cominciato a chiudersi quando nella ricca, organizzatissima e attrezzatissima Lombardia erano esplosi i primi gravi casi di Coronavirus. Di questo personaggio sapevamo quello che voleva farci sapere la Cina che aveva una gatta da pelare di tre miliardi di cittadini, milione iiù,milione meno. Confesso che la prima cosa  che mi venne in mente fu: “pensate se fosse esploso a Napoli, o a Bari, o a Catanzaro, o a Potenza o a Palermo. Forse qualcuno avrebbe di nuovo invocato la lava purificatrice del Vesuvio, per sommergere i partenopei, i calabresi, i pugliesi, i siciliani. Invece noi cominciammo a pensare ai figli, ai nipoti, agli amici e conoscenti che vivono, lavorano, studiano o sono in gita in Lombardia. E a penare per loro. Poi è arrivata la notizia che confermava la catastrofe: annullate tutte le gite scolastiche. E come otterremo indietro i soldi che abbiamo già versato? Questa preoccupazione sovrastò per qualche giorno le prime angosciose notizie sui morti che si contavano nellaPadania e nel Veneto. Vedrai che loro che sono organizzati e seri risolveranno tutto in pochi giorni. Prime dichiarazioni dei politici, soprattutto Zaia e Fontana. Erano i più esposti. Dovevano far vedere come si reagisce a un pericolo. Fontana indossò la mascherina. Zaia, meno fotogenico e più pratico, si mise a lavorare e scomparve dai teleschermi.
“Ho fatto bene a chiudermi, pensai io. Con quella “certa età” che ho addosso, meglio usare cautela”. Ci è andata bene,forse perché la Lombardia e il Veneto, ma anche la padana Emilia, ignoravano i limiti e i i difetti di quella organizzazione che gli invidiavamo. Cominciò la conta dei morti, a decine al giorno; e degli ammalati, a centinaia e migliaia al giorno. Cominciamo a cambiare pensiero: se loro, Lombardia, Veneto ed Emilia soccombono, che sarà di noi meno attrezzati, meno organizzati, meno intelligenti, e senza dané? Il terzo giorno mi congratulavo per la mia saggezza, magari un po’ vigliacca. Mi ero chiuso in casa in tempo. La mia vigliaccheria venne cancellata dal prmo decreto che ordinò. “Tutti a casa!”.Ma non come Alberto Sordi. Come gente che quasi non ci credeva. Con oggi sono 36 giorni di prigionia. E non mi ci sto abituando. Noi abbiamo il sole, il mare, il Parco, la collina; ma chi ci ammazza? Ci mettemmo poco a capire che chi ci ammazzava era il Coronavirus.
Le cifre spaventavano. In guerra la gravita della situazione era segnalata dal crollo di una vecchia casa di tufi e di tegole, centrata da qualche proiettile vagante nel cielo di Cisterna, O dalla notizia sconvolgente della morte di qualche amico. Solo che durante la disastrosa guerra del 1943-44 (la guerra in casa nostra) non avevano supernercati da assalire per fare incetta di farina, di olio, di burro. La farina è scomparsa. Anche il farinaccio,anche il castagnaccio. Aspettavamo giorni di fame. A Cisterna la fame l’avevamo ogni giorno, ogni ora, ogni momento. A Latina aabbiamoffrontato il divieto di uscire di casa e l’invito autarchico “Iorestoincasa”, trasformato in un ossessivo hashtag, con il volto di un condannato all’ergastolo. E tanto  per far vedere che a noi le regole ci fanno un baffo, cominciammo ad uscire di casa, Prima furtivamente, poi con sempre maggiore ostentazione. Tenevamo però spento il motore delle nostre amate macchine perché il rumore dello scappamento avrebbe attirato l’attenzione delle pattuglie, che erano scese in strada, Non ci spaventò neppure il tentativo della Burocrazia di dissuaderci facendoci compilare le autocertificazioni. In
dieci giorni i Burocrati che vegliano sulle sorti del Paese ne hanno partorite ben cinque edizioni. Cinque moduli diversi per qualche virgola o qualche dichiarazione in più. Tanto la responsabilità era di chi li compilava. E le pattuglie di controllo dovevano fare corsi di aggiornamento per sapere quale dei cinque moduli era quello buono. Avevamo fregato anche la Lombardia; cinque “form” come si è cominciato a chiamarli da parte chi l’ingelese lo parla come il latino classico. Un solo problemaccio: le mascherine avevano subìto la sorte della farina sugli scaffali. Non se ne trovava una a pagarla oro. Pochi giorni dopo aumentarono il prezzo e quello che si pagava qualche centesimo prima del virus cominciò a costare due, tre, cinque, quindici, sedici, trenta euro. Ai tempi della guerra si chiamava “borsa nera”. E’ durato poco: la gente si è messa le sciarpe, ha tirato fuori i foulard e se li è legati attorno al collo e davanti alla bocca e al naso. E ha risparmiato. E le file ai negozi erano diventate la dimostrazione della serietà con cui la situazione
era stata presa dalla popolazione. Educati, distinti, qualche goffo tentativo di saltare la fila prontamente punito da maleparole da parte di chi veniva abusivamente scavalcato. Anche io ho fatto qualche fila, e  debbo dire che tutto è andato f liscio fino alla porta del supermercato. Una volta dentro era il caos. La gente non rispettava le distanze, affollava le corsie dei generi alimentari o casalinghi. Le commesse vigilavano all’ingresso per bloccare qualche furbetto che voleva entrare prima del turno; e hanno
cominciato a distribuire guanti e disinfettanti, anche a chi portava guanti appena tirati fuori della scatola. Io, invece, ricordo, ancora bambino, le file che con mia Madre dovevo fare ai forni di Roma, per ritirare i 150 grammi di pane che Benito Mussolini riusciva quasi sempre ad assicurare al suo popolo in guerra. Solo che prima di arrivare al banco del fornaio bisognava aspettare mezze ore intere, per sentirsi dire.”Signori, il  pane è finito, tornate domani”. E mia madre rimetteva nella borsa la tessera annonaria che dava diritto a quei 150 grammi, anche se solo in via del tutto teorica. Ma almeno non c’era nessuno che scavalcava la fila. O, meglio, a volte c’era qualche razzista che guardava me, mia madre e qualche altro nelle nostre stesse condizioni di “sfollati” ed esclamava in modo che tutti, ma proprio tutti sentissero: ”Ci mancavano i profughi, a Roma, Ma non potevano restare nelle loro case?”. Il problema che ci impediva di stare nelle nostre case era che i tedeschi il 19, 20 e 21 marzo 1944 ci avevano caricato tutti sui loro camion militari e ci avevano scaricato a Narni, a Cesano, alla Breda. Noi eravamo amici di ebrei riparati in qualche convento. Ci avevano lasciato la chiave di casa sulla via Flaminia, allorea campagna che iniziava subito dopo piazza del Popolo. Ma finalmente ci eravamo lavati dopo tre mesi di grotte. Sì, perché i Cisternesi vissero per tre mesi nelle grotte di pozzolana scavate sotto i palazzi di Cisterna, la più grande era quella lunga chilometri, sotto Palazzo Caetani. E non si potevano lasciare quei quattro metri quadrati di superficie che eravamo riusciti ad occupare. Per noi era sempre notte. La rompevano il umi a petrolio. Mia madre ci faceva soffiare il naso e usciva una poltiglia nerofumo. Poi, con pazienza e amore, cercava di liberarci i capelli dei pidocchi che li
affollavano. Il mezzo tecnico era lo stesso petrolio, strofinato sulla cute. Lo strumento per l’esecuzione erano le unghie dei pollici: venivano strette curando che il pidocchio non fuggisse. Sentivamo un “cric” liberatorio, Non era il computer, che non esisteva, era la corazza dei pidocchi che veniva frantumata. Ma uscire non si poteva. Ci pensavano i tedeschi, non i posti di blocco delle nostre buone e pazienti guardie municipali, carabinieri, polizia, guardia di finanza. Quelli tiravano fuori la machine-pistol e minacciavano.
C’era poco da discutere. E se non era la Wehrmacht a minacciare, ci pensava “Pippo” un caccia inglese che volava per far fuoco su qualunque cosa si muovesse sul terreno. Meglio se tedeschi, ma se erano italiani era lo stesso. Non si può essere razzisti in guerra. Ho una fotografia che mostra sette od otto bambini e bambine sul foro di uscita della grotta Scisciò, dove noi eravamo ricoverati. Non c’pera molta igiene là sotto, in quella promiscuità. Noi eravamo confinanti di una famiglia di zingari. Li chiamavano così, non con la colta distinzione tra Sinti, Rom e altre etnìe come oggi. All’epoca bastava dire zingari. Un giorno mia madre avvertì una orrenda puzza presso i nostri quattro metri quadrati rigorosamente senza alcuna separazione. Con molta pazienza fece confessare a una signora zingara che quell’odore veniva dai loro quattro metri quadrati. Era vero, veniva dalla testa di un cavallo morto per esplosione in strada, che era stata tagliata, avvolta in una coperta e tenuta da almeno quattro giorni per essere mangiata. Orrore. Ma c’era la fame. Oggi ci si spazientisce se un signore salta la fila. Io sono stato cacciato da un’edicola di giornali in malomodo. Ero – giuro involontariamente – in violazione del dovere di entrare uno alla volta. L’uomo che stava dentro, anche lui di una certa età, mi ha apostrofato brutalmente, ordinandomi ad alta voce di uscire perché ero a meno di un metro da lui. Aveva ragione e mi sono portato fuori, pentito e umiliato. Ma c’era davvero un foglio extra strong con su scritto: si prega di entrare uno alla volta. La
persona che mi aveva cacciato fuori non ebbe pietà, non raccolse neppure le mie scuse. Ieri, mentre facevo una delle file, aspettando il mio turno col numeretto in mano, una signora, sempre di una certa età, ha violato il distanziamento sociale e si è portata a ridosso del mio “stallo”. Non c’è stato nessuno che l’abbia richiamata al rispetto del metro d’obbligo. Mi sono dovuto distanziare io.
9 Marzo, 2020 - Nessun Commento

LA CLASSE NON E’ ACQUA

Episodio numero 1

Alcuni giorni fa il presidente della Regione Lombardia (dico Lombardia, non un paesello) si presenta davanti alle telecamere e si infila drammaturgicamente una mascherina antivirus, pronunciando frasi destinate alla Storia: Sono ammalato, mi ritiro in casa. E non so cos’altro. Con la conseguenza di rimediare fischi e pernacchi da alleati e avversari. Una scena che avrebbe dovuto evitare proprio petr l’alta carica che riveste e che ha ridicolizzato.

Ieri il Segretario del Pd, Nicola Zingaretti, si è presentato su Facebook e con la massima serenità e in diretta ha detto: Sono positivo al Coronavirus, ma niente drammi, Farò la mia quarantena in casa con i miei. Tutto andrà bene, l’Italia continua ad andare avanti combattendo la sua battaglia contro il virus- Niente drammi e niente melodrammi. E scompare con un sorriso di rassicurazione sulle labbra.

Epoisodio numero 2

 Qualche anno fa un non ancora rivelatosi ma già importante rappresentante della Lega, oggi Matteosalvini, si fa ritrarre dalla tv mentre, attorniato da una massa di persone vocianti dal chiaro accento lombardo-veneto, brandisce un cartello con sopra scritto (ito le parole a senso, perché non ne ricorso l’esatta sequenza): Vesuvio risvegliati, colera colpisci. Con chiaro riferimento alla città di Napoli (alla quale non ha mai chiesto scusa) che avrebbe dovuto perire sotto la lava del vulcano o falcidiata dal virus del colera che la colpì negli anni Settanta insieme ad altre regioni. Oggi, quello stesso Salvini non ha detto una sola parola sulla sua Regione primo focolaio d’Italia per il virus. Immaginate cosa sarebbe accaduto se il focolaio del Coronavirus fosse esploso in Campania!

 Ieri, il Sindaco di Portici, città della regione partenopea – che è  stata l’unica città italiana a vincere un premio europe da 4,1 milioni di euro per una mobilità sostenibile – intervistato da Radio 24, prima ancora di spiegare come ha vinto, ja detto, rivolto agli ascoltatori lombardi che sono ben legati a Radio 24-Il Sole 23 ore, emittente lombarda: voglio abbracciare tutti i cittadini della Lombardia che stanno attraversando un momento così difficile. Il mio è un saluto e una partecipazione sinceri. Poi ha proseguito col suo racconto.

Che ne dite di questi due episodi? A me è venuto in mente l’espressione: la classe non è acqua. Cioè la classe è sentimento, intelligenza, razionalità, partecipazione empatica, senso di compattezza, senso di essere una nazione. Nell’unirci a quel bel saluto, lascio ai miei pochi lettori di esprimere un giudizio.

 

26 Febbraio, 2020 - Nessun Commento

QUANDO C’E’ LA COMPETENZA

Qualche svista che non è una battuta. Purtroppo

  1. Le acque limpide del fiume Ninfa e una pianta amazzonica in primo piano nella foto di David Salvatori

    Le acque limpide del fiume Ninfa e una pianta amazzonica in primo piano nella foto di David Salvatori

    L’ISOLA CHE NON E’. PROCIDA SCAMBIATA PER PONZA.

Borsa Internazionale del Turismo (B.I.T) di Milano, edizione 2020.

Nello stand che la Regione  Lazio ha dedicato alle sue meraviglie turistiche, spicca una bella fotografia. La didascalia spiega che quella foto è uno degli aspetti della magica Isola di Ponza magica Isola di PONZA (provincia di Latina dal 1934). Ma un competente che si occupa di turismo del Lazio e delle sue cinque Provincie non si è accorto che la foto non si riferiva a Ponza, ma a Procida (una delle Isole Flegree, con Ischia e Vivàra).  Ma in fondo si tratta solo di poche decine di miglia di distanza.

  1. SEMPRE ALLA BIT. TRASFERITO D’AUTORITA’ IL GIARDINO DI NINFA.

Grande notizia: il Giardino più bello del mondo – tale definito dai botanici più apprezzati del mondo e dai quotidiani internazionali più diffusi – vale a dire il Giardino di Ninfa, che si trova in provincia di Latina a circa 15 km dal suo Capoluogo, è stato presentato alla B.I.T. come impiantato nella Provincia di Viterbo. Peccato che Viterbo abbia anch’essa bellissimi giardini, ma non Ninfa. Il Competente che ha prodotto quei messaggi pubblicitari, spendendo pubblico denaro, ha colpito ancora. Un invito alla Regione: faccia corsi di addestramento professionale in geografia regionale ai propri non competenti dipendenti.

  1. MA ANCHE LA TV SI BATTE BENE. In un TG3 del mese di Febbraio 2020, quando comparvero scritte antisemite all’esterno di una scuola di Pomezia (Provincia di Roma, quasi un quartiere periferico della Capitale) quel Comune è stato attribuito alla Provincia di Latina, anziché alla Città Metropolitana di Roma. Un errore che dovrebbe parzialmente compensare la provincia di Latina dei due errori patiti alla BIT di Milano. La riforma delle Province varata da Renzi deve aver confuso anche i redattori del TG3. Che non ha mai corretto lo svarione.
  2. E SI SBAGLIA ANCHE IN GUERRA. In una cerimonia avvenuta qualche anno fa a Cori, uno dei relatori che si sono avvicendati al microfono ha elogiato il turismo germanico e in particolare il suo vettore aereo di bandiera. Peccato che l’abbia chiamato Luftwaffe anziché Lufthansa. La Luftwaffe è l’aviazione militare. E non trasporta turisti.
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