24 Luglio, 2012 - 1 Commento

SE SI FARA’ LA PROVINCIA UNIFICATA
TRA FROSINONE E LATINA

La sede attuale della Provincia di Latina

Dunque, pare che il verdetto sia stato emesso. La provincia di Latina è destinata a scomparire. Tutta colpa del fascio: se avesse aggiunto alla provincia di Littoria nel 1934 49-50 kmq in più (uno sputo di territorio: Carpineto, Gorga, Segni o magari Anzio-Nettuno, all’epoca Nettunia) oggi non staremmo a recriminare sulla soppressione della provincia di Latina. Oltre tutto, quei 49-50 kmq avrebbero evitato “l’umiliazione” di essere accorpati alla non-amata (ma solo per storie di calcio menato) Ciociaria, con il che, però, dimenticando:

1. che le due aree erano per buona parte già unite sotto il nome di Marittima e Campagna. Ripassiamoci un po’ di storia, con l’aiuto di uno storico anagnino, il prof. Gioacchino Giammaria, direttore dell’Istituto di Storia e d’Arte del Lazio meridionale, gran ricercatore di storia del territorio (vedi più sotto “Che cos’era Marittima e Campagna);

2. che il sud aurunco – Formia in testa e gli altri a seguire – dal 1944 inseguono il sogno di un matrimonio riparatore con Cassino;

3. che i Ciociari hanno frequentato i Lepini pontini e la Palude pontina prima ancora che arrivassero i “pontini” (che sono emiliani-romagnoli, veneti, furlani, umbri, abruzzesi, campani, siciliani, laziali, ecc.) mentre il sud aurunco ha sempre anelato a legare le sue vie del mare con strade e ferrovie dirette verso l’interno sorano e cassinate.

Dunque, perché lamentazioni, quando c’è anche la ipotizzata soddisfazione di fare diventare Latina la “capitale” di questa nuova grande e potente provincia, che richiederà che richiederà almeno tre cose:
I. pensare ad un nuovo nome per designare questa nuova provincia (Marittima e Campagna, appunto?)
II. a opere e servizi che occorreranno per adeguare Latina alle sue cresciute responsabilità e funzioni di capoluogo di una semi-regione di quasi un milione di abitanti;
III. a studiare un po’ di storia altrui (che ha anche connotati comuni, da Bonifacio VIII in poi), per arrivare culturalmente preparati alla nuova sfida, che richiede intelligenza, antiveggenza, iniziative. E Cultura, appunto.

Ma con quali risparmi?
Il discorso che sta alla base di questa piccola rivoluzione, ossia risparmiare duplicazioni di spesa, è, invece altra cosa. A conti fatti, forse ci accorgeremo che questo argomento è di poca importanza, nei fatti. Si sarebbe ottenuto un risultato migliore intervenendo con leggi-quadro e direttive a imporre precisi limiti alle piante organiche degli enti pubblici; a contenere l’eccessivo appetito salariale dei nostri deputati regionali (e nazionali); a sciogliere un po’ di società miste, riconducendo i servizi che esse dovrebbero erogare (e non sempre erogano) sotto le responsabilità di chi paga le tasse ed eliminando fonti di dissipazioni oggi incontenibili. E anche domani.

Che cos’era Campagna e Marittima (*)
Le novità politico amministrative in merito alla soppressione di alcune province ci faranno tornare al passato più o meno recente? Ci si riferisce al fatto che la ipotizzata soppressione della Provincia di Latina condueeebbe alla fusione di due territori – la cosiddetta Ciociaria, che sta per la Provincia di Frosinone, e le Terre Pontine-Ausone-Aurunche che costituiscono la Provincia di Latina. Sembrerebbe, mutatis mutandis, che potrebbe tornarsi all’antica provincia pontificia di Campagna e Marittima. Il che non è storicamente e geograficamente, mentre lo potrebbe essere per una certa visione politica.
La Provincia di Campagna e Marittima, infatti, nasce nel 1198 ad opera di Innocenzo II, uno dei papi cosiddetti anagnini, nel quadro della organizzazione dello Stato dei Papi dopo che i romani pontefici avevano consolidato il loro potere temporale. Se in precedenza la difesa dei confini era praticamente affidata ad abbazie dotate di dominio temporale e a grandi famiglie signorili fornite di vasti feudi, ora i pontefici cercano di avere sul posto anche un’autorità politico-amministrativa, i legati, direttamente nominati da Roma, dalla propria curia. In un primo tempo la Campagna e Marittima è costituita da vasti territori che vanno da Ostia ai confini col Regno di Sicilia (in pratica la linea Liri-Terracina/Fondi), poi col tempo, tale ampia porzione di spazi si restringe ad un’area che viene sempre più spinta verso il confine fino ad arrivare, fra Settecento ed Ottocento, alle terre che stanno fra i confini con Regno di Napoli e una linea che corre, grosso modo, da Astura agli Altipiani di Arcinazzo. Anche i legati, per lo più cardinali o alti prelati di curia, divengono presidi e delegati (sempre prelati, ma di grado inferiore, spesso in carriera e dotati di più limitati poteri).
Tale provincia ha avuto come capoluogo di riferimento la città ernica di Ferentino, purtuttavia legati e presidi hanno spesso posto la loro residenza in altre città: Priverno, Ninfa, Anagni, Frosinone, a seconda delle loro convenienze e necessità. Verso la fine del Cinquecento, con la stabilizzazione dello Stato dei Papi, che prefigura il futuro Stato Pontificio, all’ennesima riorganizzazione dell’ordinamento politico-amministrativo, il preside di Campagna e Marittima avrà la sua sede stabile, coi tribunali ed i bargelli, nella rocca di Frosinone, che da quel momento si vede riconoscere la sua funzione centripeta, già determinata dall’essere al centro della viabilità principale sia verticale che orizzontale.
In seguito, nell’Ottocento, e sotto Gregorio XVI, la provincia sarà divisa in due: Campagna o Delegazione di Frosinone, con capoluogo l’antico borgo volsco, e Marittima, con capoluogo l’importante città di Velletri, sottratta definitivamente all’autorità del Cardinal Decano del Sacro Collegio.
Sarà così anche in futuro? Sul piano storico va chiarito che ci sono stati altri passaggi che hanno rivoluzionato tante cose. In primis la formazione di Circoscrizioni dopo l’Unità d’Italia quando il Lazio era una sola provincia; poi il distacco di territori che appartenevano alla Campania e nel 1926 furono legati al Lazio. Ci si riferisce all’operazione politico-amministrativa voluta dal governo fascista che fece scomparire la Provincia di Caserta (parte delle terre appartenute all’area campana conosciuta dal medioevo come Terra di Lavoro) e legò i Circondari di Sora e Gaeta al Lazio, determinando prima la creazione della Provincia di Frosinone (al Circondario di Frosinone si aggiunse quello di Sora) e poi della Provincia di Littoria-Latina (formata dalle Terre Pontine, ex Marittima, insieme ai territori già legati al Circondario di Gaeta).
Oggi, poi, la situazione è divenuta ancor più diversificata: se si formerà questo nuovo gigante amministrativo, capace di tener testa all’onnivora Roma, sarà certamente qualcosa di diverso da quanto avutosi fino ad ora: si potrà parlare di ritorno a molti passati: a Campagna e Marittima (con i dovuti distinguo), ma anche ad una porzione della Regio I, e, perché no, alle antiche giurisdizioni abbaziali che, secondo Albericus princeps, dovevano costituire unità territoriali e svolgere funzioni politiche.

(*) Del prof. Gioacchino Giannaria, Anagni

13 Luglio, 2012 - 1 Commento

ADA WILBRAHAM CAETANI
DUCHESSA DI SERMONETA
E AUDACE ALPINISTA DOLOMITICA

Ada Wilbraham Caetani, duchessa di Sermoneta

Ada Wilbraham Caetani,  moglie del XIII duca di Sermoneta, Onorato, viene ricordata nella sua veste di audace alpinista dolomitica in un bel libro che MIrco Gasparetto di Treviso ha pubblicato in questi giorni (Pioneers. Alpinisti britannici sulle Dolomiti dell’Ottocento, editore NS, con il patrocinio del Club Alpino Italiano). E’ un volume curato per ricordare tre caratteri di rocciatori: la performance tecnico-sportiva, l’audacia di chi vi si impegnò, e il volto pionieristico dei rocciatori britannici dell’Ottocento. Ne viene fuori una immagine complessiva nella quale la ricerca colta di storia dell’alpinismo si fonde con l’emozione per le imprese compiute sulle maggiori e più difficili cime dolomitiche, in un momento nel quale il pionierismo si misurava anche con la modestia dei mezzi tecnici, ben diversi da quelli di cui oggi si dispone per affrontare la montagna.

Ada Wilbraham Caetani viene inclusa tra questi pionieri dell’alpinismo ottocentesco, e non già come suffragetta, ma come donna consapevole di rivestire un ruolo cui non intendeva rinunciare, e che si cimentava non per esibizionismo, ma per spirito audace e curiosità infinita. L’avventura che di lei si racconta ebbe luogo quasi esattamente 130 anni fa, il 15 di agosto del 1882. Campo di svolgimento fu la Cima Piccola delle tre di Lavaredo. “L’evento – scrive Marco Gasparetto – ferma non solo la più che probabile terza salita assoluta, bensì la prima ascensione femminile di una cima che, allora, rappresentava emblematicamente l’estre­mo limite dell’arrampicata dolomitica. Dietro la blasonata figura della duchessa Ada di Sermoneta, si cela l’inglese Ada (Adela) Con­stance Bootle-Wilbraham, il cui cognome ri­chiama colui che sali il Monte Bianco nella lontana estate del 1830; pionieristica epoca che anticipava d’una trentina d’anni la fondazione dell’Alpine Club”. Si parla del padre di Ada, “il giovane uffi­ciale Edward Bootle-Wilbraham“.

La copertina del libro di M. Gasparetto

Ada era convolata “a nozze nel 1867 con il Duca Ono­rato Caetani di Sermoneta (Roma, 1842-ivi, 1917); non l’ennesimo rappresentante di nobile censo, ma il discendente di una delle più anti­che famiglie patrizie romane’. I Caetani, gran­di proprietari terrieri, avevano dato alla Storia ben due Papi oltre a una galleria di personaggi d’alto profilo politico e sociale. Lo stesso Mi­chelangelo Caetani, padre di Onorato e uomo di raffinata cultura, era stato Governatore di Roma nel 1870, anno in cui la città votò il plebiscito di adesione al Regno d’Italia in seguito al 28 settembre. Pure Onorato Caetani fu autorevole uomo di governo: sedicesimo sindaco di Roma, conservatore d’ala moderata, Ministro degli Affari Esteri durante il secondo governo di Antonio di Rudinì. Oltre al ruolo politico, Onorato Caetani fu per una decina di anni presidente della Società Geografica Italiana e  membro della Sezione di Roma del Club Alpino Italiano, nonché socio dell’Alpine Club inglese, ammesso con la sessione di dicembre del 1882, lo stesso anno delle estive avventure coniugali sul­la Cima Piccola di Lavaredo.

Malgrado l’importanza dell’impresa, la notizia della salita alla Piccola di Lavaredo affiora (con cinque anni di ritardo) solo grazie ad una fortunata combina­zione d’eventi. La felice circostanza si concre­tizza per merito di Enrico Abbate, un ingegne­re iscritto alla stessa sezione romana del Club Alpino che, su indirizzo di Orazio de Falkner, si era avventurato tra le pareti delle Drei Zinnen negli ultimi giorni d’agosto del 1887, pubbli­cando un ampio resoconto sull’annuale Bol­lettino del Club Alpino Italiano. Nell’occasione, Abbate non riportò solamente la cronaca del­le sue salite, ma la introdusse con una saliente ricostruzione storica degli avvenimenti alpini­stici in Lavaredo, tra cui un’intervista indiretta all’alpinista anglo-romana, oggi fondamentale reperto storiografico…

Ecco quanto scrive Abate: “Ho più sopra accennato alla ascensione compiuta dalla duchessa Ada di Ser­moneta, intrepida alpinista che ha ormai visitato tutti i più difficili colossi alpini e che la sezione di Roma ha il vanto di contare fra i propri soci. Poiché essa è l’unica signora che abbia posto il piede sulla Cima di L,avaredo, ritengo opportuno di riferire in breve i particolari della importante ascensione, quali mi furono cortesemente narrati dalla duchessa medesima.

Nel mese di agosto 1882, il giorno 15, a quanto é dato ricordare, la nobile signora muoveva dalla Dreizinnenhútte [il rifugio sotto le tre Cime] insieme colle guide Innerkofler, le quali non avevano fatto alcuna obiezione al desiderio dell’alpinista e neppure avevano domandato di esperimentare la bravura in altre più facili ascensioni preliminari, persuase, come dissero poi, che alle prime difficoltà la signora avrebbe rinunciato all’impresa.

Recatasi alla sella che divide la cima più alta dalla più bassa,incominciò l’arrampicata per piccole cornici e per stretti camini, superando non lievi difficoltà. A circa due terzi di altezza trovò uno dei passi più pericolosi, bisognò attraversare la parete rocciosa del quadrangolare pinnacolo, volta verso la cima più alta, sopra una sporgenza di roccia, inclinata sull’abisso, e talmente stretta, che il piede appena vi si poteva posa­re per intiero, mentre le mani per trovare un sostegno, dovevano scegliere con infinita precauzione quelle po­che pietre, spesso mobili, che sporgono all’infuori. Ad un certo punto, ove la roccia soprastante alla cor­nice si avanza sulla medesima, occorse camminare piegati colle spalle curvate verso il vuoto. E fu qui che la coraggiosa Duchessa corse un serio pericolo. In seguito al consiglio di Michel Innerkofler [una delle due guide] di far presto per timore anche di possibili cadute di sassi, si afferrò colle mani a una piccola pietra sporgente, ma, avendo questa ceduto, perdette l’equilibrio e sarebbe precipita­ta giù, se Michel prontamente non l’avesse trattenuta per un braccio. La valente alpinista non si scoraggiò per questo, ma, con quella calma e quella presenza di spirito che sono rare anche in provetti alpinisti, proseguì l’ascensione.

Al punto in cui la parete piega, dovette fare un passo molto lungo per passare all’altro versante rivolto verso la Capanna. A questi passaggi un altro ne seguì anche più difficile e pericoloso. Convenne inerpicarsi su per uno stretto verticale ca­mino o piuttosto crepatura nella roccia, nella quale le guide per maggior prudenza salirono senza scarpe. Giunse quindi sulla vetta che le nebbie avevano rav­volta d’impenetrabile velo. Non avendo seco alcun biglietto di visita, scrisse sopra una roccia il proprio nome con del fosforo bruciato: quindi si accinse alla discesa che si compì senza notevoli incidenti. Il Duca di Sermoneta, che intanto saliva sulla cima più alta, poté seguire per il primo tratto l’ascensio­ne della sua signora. Gli pareva, da lontano, che le persone misteriosamente, come quadri, rimanessero attaccate alla liscia parete rocciosa. Nel secondo tratto la nebbia nascose alla sua vista la comitiva, ma i fre­quenti gridi di richiamo lo rassicurarono”.

Ada – osserva lo scrittore Marco Gasparetto – era donna finemente acculturata, socialment­e abituale viaggiatrice, affascinata tanto dall’estetica delle Alpi quanto dagli esotismi dei deserti mediorientali. Esperta amazzone ed allevatrice di cavalli, è pure l’intraprendente ani­ma tutelare dei preziosi aspetti naturalistici e cul­turali dei vasti possedimenti di famiglia nell’Agro Pontino. A lei si devono, infatti, progettazione e cura del Parco e del Giardino di Fogliano, nei pressi di una delle residenze dei Caetani, oltre ad avere gettato le basi per la cura del Giardino di Ninfa, oggi monumento naturale.

Al momento della salita sulla Cima Piccola di Lavaredo, Ada Bootle-Wilbraham aveva trenta­sei anni ed era già madre di cinque dei suoi sei figli.

 

9 Luglio, 2012 - Nessun Commento

DOC IN ONDA SU RAI STORIA
MALARIA, L’ARMA SEGRETA DI HITLER

Rai Storia mette in onda il  9 luglio 2012, alle ore 22, sul canale 54 del digitale terrestre, il documentario “Malaria, l’arma segreta di Hitler”. La proiezione verrà replicata il 13 luglio prossimo, sempre per Rai Storia, sempre sul canale 54, alle ore 15. Il documentario, prodotto da GA&A Production affronta il discusso problema del sabotaggio delle opere di bonifica delle ex Paludi Pontine. Secondo una tesi, i tedeschi allagarono alcuni tratti della palude per spirito di vendetta contro l’armistizio firmato dall’Italia l’8 settembre 1943, e non semplicemente per creare una serie di ostacoli agli Alleati che avanzavano. Questa tesi è presentata in un libro dell’americano Snowden. Una tesi diversa si oppone, fino a prova contraria (che potrebbe essere rappresentata solo da documenti scritti germanici finora mai rinvenuti)  a questa ricostruzione con una serie di argomentazioni (v. P.G.Sottoriva, Le tre malarie (prefascista, fascista e postfascista). Il Comitato provinciale antimalarico a Littoria e un “giallo” di bioterrorismo, Ediz. Book, 2008).