16 Luglio, 2013 - Nessun Commento

MONSIGNOR PETROCCHI
HA LASCIATO LATINA

Il vescovo di Latina, Terracina, Sezze e Priverno, Monsignor Giuseppe Petrocchi,  ha lasciato dopo 15 anni la sua prima diocesi. Ne prese possesso nel 1998, è stato chiamato a reggere la diocesi metropolita de l’Aquila qualche settimana fa. Reggerà ancora fino al prossimo autunno anche la diocesi pontina, in attesa della nomina del suo sostituto, ma nel frattempo si è già insediato in quella abruzzese, dopo aver ricevuto, quale arcivescovo metropolita, il pallio dalle mani di Papa Francesco, nel corso di una cerimonia svoltasi nella cattedrale romana di San Pietro. Il rispetto verso il pallio che veniva  appoggiato sulle sue spalle è stato, forse, accompagnato da un pizzico di nostalgia per dover lasciare la sua prima diocesi, che lo ha conosciuto pastore per tanto tempo. Ma il sacerdote è innanzitutto servo e apostolo e missionario e la rigorosa preparazione teologica di monsignor Petrocchi,  insieme alla sua educazione di razionale docente di filosofia, gli avrà certamente dato ogni consolazione nel ricevere il nuovo incarico, che, se non fosse un servizio “da servo”, verrebbe definito da noi secolari come prestigioso. Due mondi diversi, anche se non distanti, quello pontino fatto di novità, come la “città nuova” di Latina, ma anche di antiche sedi episcopali, come Sezze, Priverno e Terracina; e un territorio che affonda le radici nel tempo, nell’aspra bellezza del suo paesaggio, nella ricchezza dei suoi numerosi centri storici, e che respira ancora l’angoscia e il  profondo disagio del post-terremoto. Proprio alle condizioni sociologiche in cui è immersa L’Aquila monsignor Petrocchi ha fatto un esplicito riferimento, quando, guardando alle macerie del centro storico dell’Aquila, ha gridato il pericolo che la nobile Città  possa divenire un fantasma irrecuperabile se entro i prossimi cinque anni non le si restituirà la sua ragione di vita. Un grido di allarme e di dolore che i quotidiani nazionali non hanno raccolto, ma che è suonato nel cuore dei nuovi fedeli del pastore marchigiano proveniente dalla Terra Pontina.

Auguri L’Aquila, per il dono dell’arcivescovo Petrocchi; auguri arcivescovo Petrocchi per le battaglie che dovrà combattere per la fede, ma anche per l’amore che ha mostrato di portare verso la sua nuova sede. E auguri alla diocesi pontina per il nuovo pastore che dovrà esserne guida (episcopus) e amorevole servitore nel nome di Dio.

2 Luglio, 2013 - 2 Commento

GIUSEPPE NAPOLITANO DA FORMIA
UN POETA CHE PRODUCE “CARTOLINE”

Ho il piacere e l’onore di essere amico di un poeta pieno di sogni e colmo di straripanti energie, non solo compositive, e che chiamerei assemblative. Si chiama Giuseppe Napolitano, è figlio d’arte (anche il Padre Nicola era un apprezzato e premiato Poeta), ha insegnato a lungo, ma non tanto da scadere nella routine della docenza da stipendio, preferendo òla libertà di fare il poeta in riva al mare di Formia dove vive. Sono convinto che il giudizio sulla qualità di un poeta è un fatto personale, che sfugge alle categorie, esattamente come personale è l’ispirazione del poeta, la sua qualità di trasmettere sensazioni e di evocare emozioni, per cui non farò ai miei quattro Lettori il torto di sostituirmi al loro giudizio. Li invito, però, a “frequentare” i libri di Giuseppe Napolitano. Ma quali dei molti libri di poesie che ha scritto (finora)? Anche qui subentra l’imbarazzo del consiglio, per la stessa ragione appena detta sopra. Voglio, invece, parlare brevemente, come un blog esige, della sua virtù assemblativa. Perché Giuseppe Napolitano non è poeta che esibisce il suo prodotto e ritiene con ciò concluso il mondo. Al contrario, è un generosissimo cercatore di altrui ingegni, ed infaticabile camminatore sulle orme di colleghi di qualsiasi orizzonte nazionale siano. Non a caso ha inventato una “Stanza dei poeti” che se inizialmente ha accolto poeti “locali” (ma c’è un poeta che possa definirsi locale?) in realtrà è una straordinaria occasione per scoprire talenti che forse resterebbero confinati in ambiti geografici ridotti. Non so più quanti libri egli abbia fino ad oggi pubblicato, seguendo queste tracce. Io, grazie alla sua personale generosità, ne ho diverse decine, con quell’inconfondibile formato “cartolina” , il colore bianco avorio, nessun orpello grafico che distragga dalla lettura del contenuto che costituisce il gran pregio di ogni volumetto. L’ultima spedizione a mio favore è composta da 7 “cartoline” di vario spessore, dedicate alla poesia delle Tremiti, ai diari balcanici, ai poeti mediterranei e al viaggio della loro parola, a Richard Berengarten, Mexhid Mehmeti, Dalila Haoui, i cui nomi evocano origini sulle sponde del Mediterraneo africano. Ultima è la “cartolina” che Giuseppe Napolitano dedica personalmente a Paul Valéry, nella sua traduzione (testo a fronte). Fuori del fortunato formato mignon, Giuseppe mi ha mandato anche un libro èdito in occasione del concorso internazionale bandìto dallo Yacht Med Festival di Gaeta, edizione 2013. Il titolo d’assieme è Gaeta. Un mare di poesia, titolo che ha un vago sapore turistico-promozionale, ma che è apposto ad una bella edizione cartonata accompagnata da quadricromie e, soprattutto, da composizioni di poeti di tutto il bacino del “nostro”Mediterraneo (e anche un po’ fuori di esso): inglesi, francesi, greci, macedoni, croati, marocchini, israeliani, pòrtoghesi, maltesi, spagnoli. E anche un franco-neozelandese. Non vi posso raccontare immagini né emozioni. Se lo desiderate, chiedetemi qualche notizia in più per la ricerca. O altrimenti, molto più semplicemente, andate alle “Pagine bianche” e cercate Giuseppe Napolitano a Formia. E’ sull’elenco telefonico.

 

2 Luglio, 2013 - Nessun Commento

VIRTUES AND VANITIES FAMILY CHRONICLES UN LIBRO DI ESME HOWARD

Una antica, nobile famiglia inglese, che contribuisce per un quarto a formare le ascendenze della famiglia reale, insieme a Plantageneti, Warren e Fitzalan, un lungo cammino nei secoli, fino ai giorni recenti, attraverso personaggi illustri, ministri, ambasciatori, Sirs; una fedeltà mai rinnegata per la Chiesa cattolica, malgrado inevitabili difficoltà di convivenza con la Chiesa anglicana; alcuni vescovi, cardinali e un canonizzato, iscritto nel Libro dei Santi della Chiesa romana, San Philip Howard (1557-1595). Di questa straordinaria galoppata attraverso i secoli percorsi dalla sua Famiglia ha scritto l’ultimo Esme Howard, nipote di Hubert Howard, sposo della principessa Lelia Caetani, e primo presidente della Fondazione Roffredo Caetani di Sermoneta. Hubert ha lasciato il suo racconto dell’ingresso in Firenze nel 1944 con le truppe Alleate, di cui era componente ed alto ufficiale, sulla prestigiosa rivista Il Ponte. Il padre di Esme Howard, a sua volta amante dell’Italia, ha pubblicato nel 1996 un bel libro di suoi testi, accompagnati da fotografie sue e di Oliver Benn, che ha l’ammirativo titolo Italia. L’arte del bello “Italian Style”. La famiglia Howard, del resto, a parte il matrimonio di Hubert con Lelia Caetani, aveva già incrociato sangue italiano con la famiglia Giustiniani Bandini; e sangue francese con la famiglia Geoffrey-Dechaume.

Il libro è del 2012, ma posso parlarne solo oggi perché Esme Howard ha avuto la cortesia di donarmene una copia (non è tradotto in Italia), accompagnandola con una gratificante dedica “dall’amico Esme Howard”. Che è sempre un bel privilegio. Il libro si chiama Virtues and Vanities – Family Chronicles, ed esso già dice del modulo narrativo scelto dal suo Autore: un gradevolissimo mélange tra il rigore del ricordo familiare, il rispetto per gli avi, l’orgoglio di appartenenza, e, nello stesso tempo, un pizzico di sapida ironia che accompagna la descrizione di alcuni caratteri. Non so se questo libro potrà mai vedere la luce presso un Editore italiano, ma esso è sicuramente un bel modo di raccontare fatti di famiglia (e qui lasciatemi ricordare, per vanità, un libro omologo, scritto da un altro amico britannico, Raleigh Trevelyan, Princes under the Volcano, che tricorda le famiglie inglesi di Sicilia: gli stili si avvicinano) senza mai scadere nel pettegolezzo e senza sollevarsi su una cattedra che il prestigio della Famiglia stessa avrebbe pur reso comprensibile. Un modo, invece, per aprire quella Famiglia ad un mondo non ristretto nell’ambito nazionale, allargandone la fascia dei fruitori anche al di fuori di gruppi amicali e di clan, divenendo un piacevole modo per conoscere un aspetto di quel mondo britannico al quale spesso si guarda con un po’ di supponenza per il giusto rispetto per la propria identità e per le forme. Una storia di famiglia, insomma, che diventa una storia esemplare, da “esportare” e trasformare da fatto privato in patrimonio culturale.