29 Agosto, 2013 - Nessun Commento

QUANDO IL CITTADINO
NON HA NEPPURE DIRITTO
AD AVERE UNA RISPOSTA

La Pubblica Amministrazione spesso è composta da persone dotate di due pessime “virtù”:

– l’ignoranza, soprattutto quella materiale, fatta di sconoscenza delle regole della buona educazione, del buon relazionarsi con gli altri, in particolare del rapporto tra cittadini e potere pubblico

– strafottenza, che consiste nell’ignorare volutamente la richiesta che perviene da un cittadino, anche se esso è petulante, ma presume di usare a fin di bene (pubblico) la sua missiva.

Nessuna delle due “virtù” è tollerabile, perché chi amministra la cosa pubblica, qualunque sia il gradino in cui è collocato, non gestisce un bene personale, ma gestisce un bene comune, e questa posizione non crea in quel “gestore” (politico, impiegato, funzionario, dirigente) alcuna posizione di privilegio, ma solo doveri, nascenti, tra l’altro, non soltanto dalla Costituzione ma anche dalla considerazione che chi gestisce è pagato dalla collettività, e quindi anche dal cittadino che a lui si rivolge.

Perché tutta questa “sparata”? Perché credo sia giunto il momento di tirare le somme del deludente rapporto che – non per colpa del sottoscritto – si è “prodotto” in questi ultimi anni con gli interlocutori pubblici ai quali mi sono cortesemente rivolto per esigere un comportamento per loro doveroso.

Mi spiego con alcuni esempi. In questi ultimi anni mi sono rivolto:

– due volte a due diversi Sindaci di Latina (non ha importanza quali), anche a nome si un centinaio di altri cittadini miei-co-firmatari, chiedendo alcuni banali interventi di ordinaria amministrazione che pago (paghiamo). Le due lettere erano indirizzate “alla persona”. Nessuno ha risposto

– una volta ad un Commissario straordinario del Comune di Latina, del quale, peraltro, avevo molta stima: anche lui non ha avuto tempo di rispondere o di farmi rispondere da qualcuno del suo gabinetto o della sua segreteria

– due volte ad altrettanti consiglieri comunali, di maggioranza e di minoranza. Aggiungo che sono anche giovani consiglieri. Non hanno mai risposto, anche se spesso sono obbligato a ricevere via telefonino loro messaggi “interessati”, perché posseggono il mio numero di cellulare

– una volta ad un altrettanto giovane presidente di commissione comunale di Latina, che mi era stato segnalato come persona sensibile e attenta. Non ha mai risposto (e stavolta era più facile, perché avevo inoltrato una e-.mail, che non mi è mai tornata indietro e, quindi, è stata ricevuta e, presumo, letta)

– almeno tre volte a diversi Presidenti della Provincia (anche qui ometto i nomi, perché la pratica è diffusa)

– una volta a tutti i capigruppo consiliari della Provincia ai quali avevo mandato un mio modesto, ma informato studio, volendo così collaborare alla loro migliore conoscenza di un delicato problema di cui stavano trattando con evidente inconsapevolezza. Mi ha risposto uno solo di essi, con un graditissimo colpo di telefono ed un ringraziamento per la collaborazione disinteressata che gli avevo dato

– tre volte ad un Presidente della Regione Lazio, che, peraltro, mi aveva esplicitamente invitato come cittadino ad usare il suo nuovo indirizzo informatico. Dopo un paio di solleciti, e a distanza di mesi, ho ricevuto risposta da uno dei tanti addetti di segreteria che mi ha consigliato di rivolgermi ad un certo funzionario regionale che, peraltro, conoscevo personalmente e che sapevo non essere in grado di darmi la risposta alla domanda che avevo proposta.

– quattro volte a capi dipartimento regionali, invocando la legge regionale sulle procedure amministrative, che stabilisce un tempo per definire una “pratica”: mai risposto

– una volta ad altro capo dipartimento regionale e contemporaneamente ad un capo ufficio regionale: anche in questo caso sono rimasto privo di soddisfazioni. E trattavo non di richiesta di piaceri, di contributi, di imbrogli, ma di un mio diritto legato ad una prestazione lavorativa.

Per onestà debbo confessare di avere ottenuto lo stesso trattamento anche da qualche autorevole interlocutore privato, che mi doveva una controprestazione in senso tecnico per un mio lavoro per lui fatto. Ma capisco che cacciare soldi fa sempre male, e giustifico più la piccola truffa consumata nei miei riguardi attraverso la mancata risposta del privato, che l’omissione di doveri d’ufficio e la violazione di una legge regionale sulle procedure consumate dai funzionari che dal 2012 non tengono conto di una mia precisa e documentata richiesta fondata su un diritto.

Ora che il Legislatore nazionale ha stabilito che ogni giorno di ritardo nell’avere risposta costerà 30 euro al mio non-corrispondente, forse potrò industrializzare quei ritardi e accumulare una certa sommetta. Sarà una ben magra soddisfazione da cittadino, ma meglio che niente.

E a partire dalla prossima lettera sarà mia cura dare all’eventuale inadempiente il giusto riconoscimento della notorietà e ne pubblicherò nome e cognome, qualifica ufficio e amministrazione.

Questi non sono fatti di un quidam de populo, ma omissioni nei confronti del dovere di risposta che compete alla Pubblica Amministrazione. (E, magari, qualcuno mi dirà che sono un ricattatore).

 

10 Agosto, 2013 - 5 Commento

ANTONIO SICUREZZA, UN “SICURO” PITTORE

Sono legato a Formia da 16 anni di vita, il periodo della mia formazione. E’ inevitabile che in questo Blog Formia compaia di tanto in tanto, in modi diversi. Oggi il ricordo va al mitico “professore di disegno”, come lo chiamavamo alle Medie, Antonio Sicurezza, le cui opere conoscevo già nel mio periodo formiano, ma che ho imparato ad apprezzare nella sua “totalità” da quando il figlio Eugenio Sicurezza, ammiraglio e già comandante delle Capitanerie di Porto italiane, tirati i remi in barca, ha deciso di rendere al Padree l’omaggio che non aveva potuto regalargli quando era in vita. Ha cominciato, così, a battere tutte le vie che i quadri del Padre avevano preso, e a fissare su bellissimi libri le cose che scopriva o riscopriva. In questo è stato aiutato dalla sua gratitudine di Figlio e dalla competenza delle Figlie. Ed una di esse, Anna Luce, mi ha dato il piacere di scrivere una breve puntualizzazione sul grande catalogo delle pitture che stanno dedicando ad Antonio Sicutrezza. Lo metto a disposizione dei Lettori, certo di trovare il loro consenso. E scusate se Anna Luice apre il suo articolo citandomi. Davvero senza alcun mio merito.

Antonio Sicurezza nasce a Santa Maria Capua Vetere il 25 febbraio 1905 da una famiglia modesta, e frequenta con successo, nonostante le difficoltà economiche, l’Accademia di Belle Arti di Napoli, presso la quale si diploma in pittura nel 1931. Chiamato a dipingere per la chiesa dell’Annunziata a Maranola, il giovane artista rimane immediatamente colpito dal territorio formiano. Nel 1934 sposa l’insegnante Virginia Mastrogiovanni, dalla quale ha quattro figli. In tempo di guerra, dopo essersi rifugiato in grotta con la famiglia sui monti Aurunci, attraversa nel febbraio 1944 la linea Gustav, portandosi fino a Vibo Valentia. Tornato a Formia l’anno seguente, la trova in gran parte distrutta. Sicurezza contribuisce alla fase di ricostruzione, sia con l’insegnamento di disegno e storia dell’arte nelle scuole, sia attraverso la pittura: la sua arte è infatti diretta anche alla realizzazione per le chiese locali di opere che andranno a sostituire quelle perse nei bombardamenti. Dopo un lungo periodo di difficoltà economiche – sino alla fine degli anni Cinquanta l’artista acquista una notorietà e un benessere maggiori. Nel 1963 lascia l’antica casa di Santa Maria la Noce per trasferirsi nel nuovo villino in località Vindicio. Il suo studio rimane tuttavia in collina, perché la luce e le ampie dimensioni di quell’ambiente nel verde rispondono ai requisiti che gli servono per la realizzazione delle numerose pale d’altare che esegue negli anni Sessanta. Sicurezza partecipa a mostre collettive in Italia (tra queste, la Mostra Nazionale di Arte Figurativa per Italia 61 a Torino e, sempre a Torino, la II Biennale Nazionale Bodda di pittura e scultura, nel 1968) e all’estero (la Rassegna di Pittura Italiana Contemporanea tenutasi a Zurigo presso il Modern Art Centre Max G. Bollag, nel febbraio 1965, e a Londra la Rassegna Nazionale della University of London Union, nel 1971). Tiene inoltre numerose mostre personali nelle province di Latina e di Caserta e in varie città italiane, tra cui Roma, Brescia, Milano, Livorno, Napoli. Sia in Italia che all’estero, diversi sono i riconoscimenti ottenuti dall’artista2. Negli anni Settanta, dopo essersi trasferito nell’ultima casa in piazza Santa Teresa, sempre a Formia, lavora molto intensamente quasi fino alla morte, sopraggiunta il 29 agosto 1979. Le opere di Antonio Sicurezza sono conservate in collezioni pubbliche e private; inoltre, dal 1999, una sala del palazzo municipale di Formia è dedicata a una rassegna monografica dell’artista. Tra i premi ricevuti, si ricordano: medaglia d’argento nella Mostra Nazionale d’Arte Pura (Napoli, 1957); due medaglie d’oro nella Mostra Nazionale Italia 61 (Torino, 1961); quarto premio per la pittura nella II Biennale Nazionale Bodda (Torino, 1968); medaglia d’argento nella Rassegna della University of London Union (Londra, 1971); primo premio per la pittura alla VII Biennale d’Arte Sacra (Torre del Greco, 1973); trofeo Il Mondo d’Oggi – Italia Artistica (Caravaggio, 1976).
Antonio Sicurezza nasce dal verismo napoletano, ma il suo stile evolve verso un realismo soggettivo caratterizzato da colori e sentimenti mediterranei. Nelle chiese delle tre provincie finitime, Latina, Caserta e Frosinone, e in particolare a Formia, sono presenti oltre una ternbtina di sue opere. L’autrice del libro che verrà presentato, la dottoressa Anna Luce Sicurezza, sta dedicando un attento studio per la ricostruzione – per quanto possibile – di tutta l’opera del nonno, lavorando alla individuazione dei collezionisti e delle istituzioni che sono in possesso delle opere, 18 delle quali si trovano nella Sala Sicurezza del Comune di Formia. (E. S.)

CATALOGAZIONE IN CINQUE VOLUMI

DELLA PITTURA DI ANTONIO SICUREZZA
di Anna Luce Sicurezza (*)

Il libro curato da Pier Giacomo Sottoriva nel 2005 per i cento anni dalla nascita di Antonio Sicurezza ha aperto la strada a una vivace attività di ricerca sul pittore. In cinque monografie pubblicate tra il 2007 e il 2011 sono stati analizzati soprattutto i collegamenti con Formia, Maranola e Minturno, significativi riferimenti dell’area geografica dove l’artista è vissuto e dalla quale ha tratto ispirazione. Gli autori sono Gerardo De Meo e Mario Rizzi, oltre alla scrivente. Molto curato, specialmente per quanto attiene alla ricerca, il volume di Alessandra Lanzoni dal titolo La pittura di Antonio Sicurezza edito da De Luca Editori d’Arte.
Sempre presso De Luca è ora in corso la pubblicazione del catalogo ragionato delle opere di Sicurezza. La catalogazione finale risulterà composta da cinque volumi e vi saranno documentati oltre 1050 tra dipinti e disegni. Si stima che questo risultato rappresenti una buona parte della produzione del pittore; di almeno altre 400 opere, distrutte dalla guerra o disperse tra Italia, altri Paesi europei, Stati Uniti e Venezuela, manca una sufficiente documentazione, in particolare fotografica, dato che Sicurezza non teneva né un elenco delle sue opere né dei propri acquirenti.
I primi due volumi, rispettivamente sul paesaggio e sui temi sacri e religiosi, sono già stati pubblicati. Il catalogo sul paesaggio, curato da Giuseppe La Mastra, raccoglie 183 opere, in prevalenza dipinti a olio. Sui temi sacri e religiosi ha invece scritto Ferdinando Buranelli; vi sono presentati 101 lavori, alcuni dei quali opere complesse commissionate per la decorazione delle chiese.
La documentazione sulla ricca produzione di Sicurezza proseguirà con i cataloghi dei nudi, delle nature morte e dei ritratti. Ogni volume è stato affidato a un diverso storico dell’arte, con lo scopo di realizzare una più ampia e poliedrica base scientifica che si augura possa essere utile per future ricerche.

(*) Anna Luce è funzionaria storica dell’arte presso la Direzione Regionale della Lombardia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

 

7 Agosto, 2013 - Nessun Commento

LA CHIESA DI S.ANTONIO A CISTERNA RACCONTATA NEL 1934 DA GELASIO CAETANI

Gelasio Caetani, il geniale “inventore” di Ninfa e restauratore principale del castello di Sermoneta (tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento) fu nominato Ispettore onorario ai Monumenti ai primi del 1934 per i Comuni di Cisterna di Littoria, Sermoneta, Norma e Ninfa, ed iniziò subito la sua attività per bruciare i tempi (va ricordato che Gelasio sarebbe morto alcuni mesi dopo la nomina, ma il tempo gli fu sufficiente per fare un gran numero di segnalazioni a protezione di edifici e ambienti di valore artistico). Tra le prime segnalazioni alla Soprintendenza ai Monumenti c’è quella che riguarda l’antica chiesa di S. Antonio, all’epoca alla periferia ovest di Cisterna, a poca distanza dall’Appia. In una lunga lettera, scritta in risposta ad una richiesta di notizie da parte dell’ing. Terenzio, che rivestiva l’incarico intendentizio, Gelasio ricorda che la chiesa “fu costruita da Bonifacio Caetani verso il 1572 [è il periodo in cui i Caetani trasferiscono la sede delle proprie attività dalla ormai isolata Sermoneta, a Cisterna che sorge lungo la via Appia] come è stata ampiamente illustrata nel capitolo XII del II volume della mia Domus Caietana. Non so dire esattamente quando sia cessato il culto in questa chiesa. Probabilmente avvenne dopo l’occupazione francese (fine Settecento-primi Ottocento) o dopo l’incameramento dei beni ecclesiastici da parte del Governo Italiano” [c.d. leggi eversive]. “Comunque, la chiesa di S. Antonio era di proprietà assoluta di Casa Caetani perché è stata costruita interamente a sue spese”. Prosegue Gelasio dando altre notizie: che la chiesa era già adibita a magazzino dalle ultime decadi dell’ Ottocento; che l’adiacente chiostro era “usato come cacciara”; che nell’interno della chiesa e nelle lunette del chiostro vi erano affreschi risalenti al XVI secolo e ad epoche successive; che il quadro che ornava l’altare maggiore era probabilmente opera del Sermoneta [Girolamo Siciolante], “mentre la tavola di Valdisciola (sic) fu trasferita al Palazzo Caetani nel 1848 circa, quella di S. Antonio non so dove sia finita”. Altre informazioni: verso il 1890 fu rifatto il piancito della chiesa e le campane trasportate a Fogliano e dallo stesso Gelasio poi trasferite a Ninfa “ove oggi [1934] si trovano”. In quell’epoca le autorità ecclesiastiche diedero “loro piena sanzione” a che la chiesa venisse usata per scopi agricoli. Verso il 1920 , il fratello di Gelasio, Leone, che aveva ricevuta la chiesa in eredità, la vendette all’ing. Carlo Muratori: c’erano ancora pitture “in buono stato”, ma proprio allora “cominciarono le manomissioni”. Muratori vendette nel 1925 la chiesa a “un ente agricolo cisternese” che poi la rivendette ad un Luiselli. A quel punto della chiesa non restò più nulla, a causa di costruzioni e manomissioni che la resero irriconoscibile, ed un fulmine completò l’opera abbattendo le celle campanarie. Nel 1934 l’interno era “trasformato in molino per il grano, le pitture sono completamente sparite e non vi è più nulla di interessante da salvare o da notificare”. Si salvava solo un piccolo chiostro “a forma di U” che manteneva pilastrini monolitici, ma privi di sculture, e quasi identici a quelli di Palazzo Caetani, Nelle lunette, pur se molto deperite, apparivano scene a fresco della storia di S. Antonio, ma delle quali era difficile dire se fossero di valore sufficiente a giustificare le spese di restauro. Gelasio avverte di avere informato il proprietario di non imbiancare i dipinti e di non elevare tramezzi nei portici del chiostro ancora aperti. Ma lo stato era di abbandono e trascuratezza totale. La vecchia chiesa, divenuta molino, è da anni al centro di polemiche tra chi vuole utilizzare la cubatura per scopi commerciali e chi ne chiede un difficile e costoso recupero all’antico.

UN ALTRO DOCUMENTO

Ma sembra, comunque, interessante riproporre un altro documento dell’Arciprete Parroco di Cisterna di Roma (la firma è illegibile) che scrive il 23 aprile 1934 al Vescovo della Diocesi di Velletri, dalla quale Cisterna all’epoca dipendeva. Ecco quanto dice la lettera.

“Fin dal 1568 l’Ecc.mo Duca Bonifazio Caetani fece erigere in onore di S. Antonio una magnifica chiesa con annessa sacrestia, campanile e convento che affidò a dei religiosi per l’ufficiatura, rimanendo egli Jus Patrono della detta chiesa. Abbandonato il convento dai Religiosi e affidato ad un cappellano stipendiato dal detto Ecc.mo Duca, dopo 250 anni il Demanio, nella seconda invasione francese, contrastò il diritto di jus patronato e mise in vendita l’annesso caseggiato, il quale fu acquistato da un certo Giovan Battista Renzi di Cisterna. Ritornato alla sua sede il Pontefice, ritroso il Renzi a restituirlo, convenne ottenere la restituzione giudizialmente, dopo una sentenza contraria al Renzi. Dopo di che vi furono intromessi successivamente i Francescani e per un certo periodo di tempo anche i Mercedari ed i Redentoristi. Per cause, per momento a me ignote, abbandonato il convento dai Religiosi, fu officiata la Chiesa da un cappellano canonico del V. Capitolo di Cisterna, fino a che, non so con qual diritto, l’Ecc.ma Casa Caetani, dopo aver adoprato per usi profani la chiesa e il convento, vendette tutto alla famiglia Muratori. Questa ha effettuato la prima devastazione, cercando di togliere ogni parvenza di sacro alla chiesa, già consacrata, ma poi in seguito a qualche manifesto castigo divino – come dice il popolo – ha cercato di sbarazzarsene, rivendendo il tutto ad una Società Anonima Cisternese, che alla sua volta, ci ha dato di grugno, finendo la sua esistenza con un fallimento di circa 5 milioni e lasciando chiesa e convento ipotecata dallo stato fallimentare. Da qualche mese mi risulta che detta chiesa e convento è stata acquistata dal sig. Raffaele Luiselli di Cisterna, il quale senza interpellare affatto le autorità ecclesiastiche competenti, è ormai in possesso di tutti gli stabili di S. Antonio e sta completando la deplorevole devastazione della chiesa e del chiostro. Tengo a far presente che la chiesa di S. Antonio era in Cisterna decorata con magnifici affreschi di ottimi maestri, affreschi che, come ho accennato, furono oggetto della devastazione Muratori ed ora finiscono di scomparire per i lavori che il Luiselli sta effettuando nella chiesa detta, quale l’erezione di un mulino, ecc. La lettera dell’Arciprete termina invocando l’interessamento del Vescovo di Velletri.