17 Settembre, 2013 - 1 Commento

DE RITA: E SE LASCIASSIMO IN PACE LE PROVINCE ?

“E se lasciassimo  in pace le Province?” Se lo chiede il professor Giuseppe De Rita, presidente del Censis, su Il Corriere della Sera del 1* agosto 2013. E lo ricorda Gianfranco Fisanotti, presidente di Unionturismo. A remare a favore del mantenimento di un istituto che è andato bene fino a quando ogni deputato non ha voluto costruirsi la propria Provincia sotto il proprio campanile, suscitando gelosie e innescando un meccanismi di rivalità locali che hanno moltiplicato i costi attraverso la delocazzazione campanilistica dei vari organi istituzionali provinciali, e disperso l’unità istituzionale (parlo delle più recenti “provincie”, da Monza a lla Puglia) De Rita porta in campo tre argomenti di diversa natura: 1. “Nessuno ha potuto, o avuto il coraggio di ricordare tre cose, forse banali ma decisive: la prima è che la giustificazione finanziaria della battaglia abolizionista è molto fragile, visto che i risparmi previsti sono lontani dal conclamato ammontare di 2 miliardi e probabilmente, a cose fatte essi si ribalteranno in costi aggiuntivi , specialmente per la sistemazione del personale dipendente.”. 2. Nessuno ha pensato che il sistema italiano vive di un intreccio fra sviluppo economico e coesione sociale tutto calibrato sul fronteggiamento dei fenomeni e problemi di “area vasta” (in materia di conservazione ambientale e idrogeologica, come di potenziale crescita dell’economia “verde”)”. 3. “Nessuno ha ricordato che la potenziale cancellazione dell’identità provinciale (quella che ancora oggi fa dire a un viterbese di essere prima viterbese e poi laziale, o cittadino del centro Italia) è un disinvestimento molto pericoloso in una società la cui crisi antropologica si basa essenzialmente sull’esplosione di un individualismo che si gloria di vivere senza appartenenze.”

 

 

14 Settembre, 2013 - Nessun Commento

Politica dei rifiuti urbani a Latina
IL PROGRESSO E’ ALLE NOSTRE SPALLE

Questa fotografia è stata scattata giovedì 1 settembre 2013. alle ore 08.30 del mattino, dopo che erano passati i camion di Latina Ambiente deputati a ritirare sia la (poca) differenziata depositata nell’apposito contenitore aperto, sia l’indifferenziata, E’ una foto che non ha bisogno di commento, ma che fa un po’ rabbia. La via è Ludovico Ariosto, al cui angolo opera un supermercato che meriterebbe avere propri contenitori per la raccolta e che, invece, non fa alcuna differenziata e intasa gli spazi destinati alle centinaia di appartamenti della zona. E’ una dimostrazione di cattivo servizio per la raccolta dei rifiuti a Latina, un cattivo servizio che produce solo “bollette” di pagamento (anche arretrate), ma che non è riuscito a migliorare nulla, in tanti anni, se non a far lievitare le “bollette” stesse. Il Comune si è impegnato ripetutamente a fare qualcosa: potesse almeno garantire che i pochissimi cittadini che si ostinano (è il caso di dirlo) a fare ancora raccolta differenziata siano presi da LatinaAmbiente e dal Comune come cittadini modello (anziché cittadini normalissimi) e siano rispettati e tutelati negli sforzi che fanno per non lasciarsi trascinare dalla stragrande maggioranza dei cittadini strafottenti, uno dei quali, richiamato per aver depositato fuori luogo ed in anticipo certa sua mercanzia da gettare, ha risposto: “Si arrangi il Comune!”. E’ storia. Anzi una cattiva storia: del cittadino, ma, ahimé, anche del Comune.

 

3 Settembre, 2013 - Nessun Commento

LE PALUDI PONTINE
DI ALEXANDER IVANOV

La storia delle Paludi pontine non è stata ancora interamente scritta. Chi si ferma alle rituali vicende d’età fascista mostra di non conoscere l’ampiezza degli echi che esse hanno da sempre suscitato e di cui è vistosa traccia in antiche stampe, poesie, racconti, studi ed anche dipinti. Non avrei, ad esempio, mai immaginato di imbattermi nelle “mie” Paludi Pontine andando a visitare una mostra di pittori russi alle Scuderie del Quirinale a Roma qualche anno fa. Tra le molte cose belle che potetti ammirare, mi stava quasi sfuggendo un dipinto di non grande formato che richiamò in extremis la mia attenzione solo perché i suoi colori sembravano familiari, ma ancor più familiare mi pareva la sky-line del paesaggio in esso raffigurato. Feci, dunque, dietrofront e mi misi ad osservare quella linea montuosa che emergeva in un’alba fumosa di palude, ma assai ben distinguibile. Guardai il nome del pittore – Alexandr Andreeviç Ivanov – provai a cercare la didascalia che descriveva il luogo e, naturalmente, trovai che quel luogo erano le Paludi Pontine, delle quali i Lepini erano lo sfondo inconfondibile da Sermoneta-Bassiano fino a dove essi declinano verso i contrafforti degli Ausoni pipernesi e terracinesi. Fu emozionante. Ancor più lo fu quando lessi che quell’opera era abitualnmente conservata presso la Galleria Tretriakov di Mosca, dove avevo avuto la ventura di recarmi, attratto soprattutto dal desiderio di vedere la grande esposiziine, anch’essa là contenuta, dei giganteschi e coloritissimi dipinti che esaltano la Rivoluzione dei Soviet e che grondano di bandiere rosse, di folle apparentemente festanti, di riconoscibilissimi immagini di Lenin e di altri personaggi della storia politica russa. Preso dalla indubbia suggestione che, a prescindere dalle idee politiche diverse, i esercitano sui visitatori, quei dipinti colorati e grandi mi distrassero e mi fecero perdere le “mie” Paludi Pontine che pure erano conservate in qualche altra stanza – come potei constatare quando Mosca apparteneva ormai al mio irripetibile passato.

La mattina successiva alla visita alle Scuderie del Quirinale, rientrato a Latina, mi alzai di buonora e poiché la giornata era splendida e tersa, aspettai che il sole cominciasse a sorgere dietro i Lepini, quelli veri che si vedono dal balcone di casa mia, in cima ad un alto palazzo di Latina, e che fotografai. Poiché mi ero procurato la foto anche del dipinto di Ivanov, mi venne naturale raffrontare l’immagine della prima metà Ottocento con quella attuale e potei riconoscere senza alcuna fatica la perfetta coincidenza delle gobbe lepine, il susseguirsi di cime e di valli nell’alba che si tingeva di rosso.

Mi interessai anche di quell’Ivanov, che risultava autore del dipinto e potei così apprendere che egli, sulla scia dei romantici del Grand Tour ottocentesco, era venuto a Roma, dalla quale si era allontanato per riprendere immagini del paesaggio laziale. Le Paludi non potevano non suscitare una immediata attenzione di Ivanov. Giovandomi della collaborazione di qualche amico a Mosca, potei successivamente apprendere che quella sky-line lepina dipinta dal piuttore russo non era la sola immagine che Ivanov aveva lasciata e che, ne esisteva una seconda a San Pietroburgo; e che, anzi, il profilo dei Lepini era stato lo studio sul quale Ivanov aveva poi ambientato lo sfondo del paesaggio dell’opera pittorica considerata il suo capolavoro, ossia L’apparizione di Cristo al popolo, iniziata nel 1836 e ultimata nel 1857. La fila dei monti che si erge alle spalle del Cristo, difatti, non è quella che contrassegna le colline che accompagnano da nord-est il lago di Tiberiade e in cui si collocano le famose (per la guerra arabo-siriana) alture del Golan. Sono, invece, proprio i colli di Norma, Sezze, Bassiano. Sermoneta e di tutte le tribù collinari pontine. Mi sembrava che questa curiosità meritasse di essere raccontata.