29 Gennaio, 2014 - Nessun Commento

LATINA/VANDALISMO
IN CATTEDRALE E
TOLLERANZA FUORI LUOGO

Mi professo cattolico praticante e tollerante verso chi la pensa diversamente. Ma tolleranza non significa disposizione ad accettare tutto, comprese le cose inaccettabili. Come quella che è stata recentemente consumata ai danni di una statua dedicata al primo parroco salesiano di Littoria (1934), custodita all’interno di una cancellata chiusa, posta al vertice del sagrato della Cattedrale diocesana, che è intitolata a San Marco. In quanto cittadino, apprezzo che il Sndaco di Latina abbia espresso la sua indignazione. In quanto cattolico mi avrebbe fatto più piacere che il Comune avesse dedicato migliore attenzione ad episodi che ormai si trascinano da almeno 6-7 anni, e che i parroci di San Marco, a loro volta osservando un comportamento di rispetto anche per l’altrui prepotenza e maleducazione, hanno tollerato. In realtà è da molti anni che piazza San Marco è diventata un suk urbano, e il sagrato bivacco di orde di raggazzotti e ragazzotte che si divertono nelle ore serali e notturne a urlare, specie maleparole (e in questo le ragazze hanno grandemente affinato le loro “tecniche”, spesso superando i compagni) e lasciando, alla fine del bivacco, tutto quello che è possibile. Questo, per la verità, riguarda anche il vicino Museo Cambellotti. Durante le recenti festività natalizie, avendo alcuni degli “ospiti” spostato la sede… per i loro sederi, dalla scalinata esterna ai gradini che immettono nella stessa chiesa, si sono anche esibiti nel lancio di tric-trac durante cerimonie serali, o nel lancio di urli e fetide parolacce in modo che esse potessero essere ascoltate da chi frequentava l’edificio. Non c’è indignazione che tenga: questi sono provocatori scientifici, e questa storia non può essere consentita oltre. Perché questi coraggiosi ragazzi non vanno a sedere sui gradini dell’ingresso al Municipio, o su quelli della Questura o del Comando Carabinieri o della Guardia di Finanza? Le “comodità” sono sostanzialmente le stesse, la libertà idem. Forse non avrebbero la stessa civile reazione-non reazione dei parroci. Ma si sa, il coraggio non può essere richiesto a chi non lo ha.

 “A nome della città esprimo forte condanna dell’atto vandalico compiuto la scorsa notte a danno della statua di Don Torello, posta all’ingresso della cattedrale San Marco. Quanto accaduto, oltraggia il nostro passato storico ed il nostro presente.”

 “Sono atti da condannare e da stigmatizzare, sempre e con fermezza.” –afferma il sindaco Giovanni Di Giorgi – “Atti di vandalismo, così come episodi di inciviltà o di scarso rispetto per i beni pubblici sono diventati purtroppo parte integrante del vivere comune, ma quando colpiscono la memoria della città ed i valori della comunità religiosa, la ferita che creano è ancora più grave.”

 “Manifesto la mia più completa solidarietà al Parroco di San Marco e a tutto l’ordine religioso Salesiano che opera e si adopera per la cittadinanza locale.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

18 Gennaio, 2014 - 2 Commento

I 70 ANNI DELLA BATTAGLIA DI CISTERNA

Foto riservata IWM Londra

Tra il 22 e il 25 maggio le forze alleate impegnate da sei mesi sui due fronti della Gustav (Garigliano) e dell’area di sbarco Anzio-Nettuno fronte di Littoria-Cisterna-Aprilia, affrontarono l’ultima e sanguinosa battaglia in terra pontina, dando l’assalto a quella che i tedeschi definirono una “festung”, una fortezza: a Cisterna di Littoria. I tedeschi si erano convinti che il tentativo di sfondare la testa di ponte sarebbe passato per la zona di Aprilia che era stata teatro delle quattro sanguinose battaglie fra febbraio e metà marzo 1944, ossia l’area compresa tra Tor San Lorenzo-Moletta-Aprilia, sul fianco nord-occidentale del fronte “romano”. Che gli alleati puntassero, invece, a rovesciarsi alle spalle di Cisterna apparve chiaro solo quando ormai per i tedeschi non esistevano più le possibilità di rafforzare quella difesa. L’attacco su Cisterna iniziò alle 5.45 del 23 maggio, quando tutte le batterie alleate fra Spaccasassi e canale Mussolini, circa 500 cannoni, aprirono il fuoco. Inizialmente sembrò ai tedeschi il solito fuoco che ricevevano quotidianamente. Per 40 minuti piovvero migliaia di proiettili. Alle 6.25 iniziò la seconda fase, il martellamento aereo affidato a 60 bombardieri del 12° Tactical Air Command. Altri aerei mossero due ore dopo, alle 8.30, sui dintorni dell’obiettivo principale: furono bombardati in particolare prima Sezze (94 morti e 116 feriti), poi la zona di Priverno (una trentina di morti). Esaurito l’attacco aereo, partì la fanteria e i corazzati americani: la 3^ e la 45^ divisione di fanti e la 1^ divisione corazzata, schierate lungo un fronte tra la Croce a oltre Le Castella. Il settore più orientale fu affidato alla 1^ Forza di Servizio Speciale, unità americano-canadese di commandos, tra Borgo Flora e canale Mussolini. Da parte tedesca, la città era affidata al LXXVI Panzercorps (362^ e 715^ divisioni di fanteria) , più un reggimento corazzato della 3^ divisione Panzergrenadier. Protetta da un’enorme quantità di reticolati e da campi minati, Cisterna era difesa in centro da capisaldi con mitragliatrici, che formavano una catena di fuoco. La battaglia ebbe fasi alterne e durò fino all’alba del 25 maggio quando i resti del 955° reggimento germanico si ritirarono fra le rovine di Cisterna, mentre la 3^ divisione US raggiungeva la strada Cisterna-Cori. Intanto la 362^ divisione germanica aveva deciso di abbandonare la difesa di Cisterna già nel pomeriggio del 24 maggio, quando la 4^ divisione corazzata US aveva accerchiato i tedeschi da ovest, spingendosi sulla Cori-Valmontone, mentre la 1^ Forza di Servizio Speciale l’aveva fatto da est, spingendosi verso monte Arrestino a Cori. Il cronista della BBC Vaughan Thomas che aveva seguito la battaglia comunicò gli ultimi atti: gli americani “avanzarono combattendo lentamente fino al centro della città, sinché non raggiunsero il mucchio di macerie che segnava il palazzo della piazza principale [palazzo Caetani]. Duecento uomini della guarnigione tedesca uscirono strascinando i piedi dai nascondigli, con le mani in alto e coperti dalla polvere delle mura crollate. Quando scendemmo nella grande cantina sotto il palazzo dove i tedeschi si erano riparati durante il bombardamento, vi trovammo un mucchio puzzolente di morti e feriti, coperti di sporcizia e di vestiti sudici”.

 

 

 

3 Gennaio, 2014 - 3 Commento

UNA NUOVA GUIDA AL MUSEO CAMBELLOTTI DI LATINA

Duilio Cambellotti

A cura di Vincenzo Scozzarella, il Comune di Latina ha pubblicato una nuova guida al Museo Civico dedicato alle opere di Duilio Cambellotti, che occupa l’edificio già Opera Nazionale Balilla, in piazza San Marco. Il Museo – oggi affidato alle cure scientifiche dello stesso Scozzarella – è nato alcuni anni fa grazie ai contributi volontari pervenuti dai familiari del grande, poliedrico artista, e grazie, in particolare a due persone che purtroppo non ci sono più: i figli di Duilio, Adriano e Lucio Cambellotti, che lavorarono col padre al restauro del grande pannello sulla Redenzione dell’Agro Pontino che campeggia sulla parete dell’ex salone delle adunanze del Palazzo del Governo, ormai ridotto a sala del Consiglio provinciale, con un’operazione di trasformazione che può definirsi solo prepotente e brutale, ma che non suscitò alcuna reazione, malgrado i pesanti interventi di riassetto totale, con abbondanza di legni moderni, di invadenti banchi, di trionfali seggi, che chissà a cosa serviranno se la provincia di Latina verrà soppressa, com’è nelle previsioni del Parlamento. Ma questa è un’altra cosa.

Di Lucio e Adriano Cambellotti, che malgrado la differenza di età si sono sempre mostrati con chi scrive affettuosi, cordiali e rispettosissimi – ma intransigenti – amici, va anche ricordata l’opera di restauro della famosa “scuoletta di Casal delle Palme”, nata da una collaborazione tra Alessandro Marcucci, all’epoca direttore dell’Ente Scuole per l’Agro Romano e le Paludi Pontine – e la famiglia Caetani (prima Leone, poi Gelasio). Peccato che la scuoletta sia rimasta un edificio chiuso e inutilizzato per anni e anni. e lo è tuttora.

Ma torniamo alla nuova guida. Essa si presenta semplice ed efficace nei testi e nelle raffigurazioni delle opere esposte, dai grandi disegni preparatori del pannello della Redenzione dell’Agro Pontino (in originale nel Palazzo del Governo-Prefettura) ai bronzi fusi dai gessi originali (come La Fonte della Palude, fusa nel 1982 per i 50 anni di Littoria/Latina: peccato che non vi sia alcuna scheda che ne dia conto) , ai gessi che sono occorsi per fusioni in bronzo ex novo (è il caso de Il Buttero, anch’esso fuso nel 1982 e donato al Comune di Cisterna, La Pace, che, già collocata a piazza Bruno Buozzi, dove era una presenza asimmetrica rispetto al grande spazio disponibile, tanto da essere giustamente sostituita dalla statua del Seminatore, con qualche imbarazzo per il Palazzo di Giustizia al quale detto Seminatore rivolge il suo nudo deretano: ma non è di Cambellotti; ai monumentini ai Caduti in guerra eretti a Priverno, Terracina e Borgo Hermada, ad altre opere che definire “minori” è offensivo, tanto sono straordinarie. Senza dimenticare documenti, scritti, appunti che contribuiscono ad avere una idea del percorso di questo grande – e non ancora meritoriamente noto – che fu Duilio Cambellotti. La guida si occupa non dell’intero deposito, ma, come precisa, di “opere scelte”, e tuttavia appare utile e molto gradevole a vedersi e a leggersi. A proposito della statua della Pace, che ora si trova all’esterno del Museo, dove ogni sera viene ricoperta da carte che hanno avvolto untuose pizze, avanzi di gelati e relativi contenitori, e dove, soprattutto, non “appare”: ma perché non la si trasporta all’interno?