IL 150° DEI CISTERCENSI A VALVISCIOLO
La scomparsa del professor Aldo Di Biasio, docente all’Università Orientale di Napoli, originario di SS. Cosma e Damiano (Latina), è stata una notizia improvvisa, dolorosa. Anche per me, anagraficamente più avanti di lui. Nel 2012 avevo lavorato con lui e con l’altro amico professor Fausto Orsini, alla preparazione, allestimento e poi presentazione di una mostra che abbracciava alcune vicende storiche della provincia di Latina. E’ stata una fatica enorme, per almeno due ragioni: il tempo limitatissimo a disposizione; il materiale che cresceva via via che lo predisponevamo, ognuno di noi essendo stato preso dal fuoco degli argomenti assegnati e dal desiderio di ampliare il campo di indagine e, soprattutto, di renderlo chiaro in particolare a chi di storia della Provincia sa poco. Larga parte di questo lavoro riguardava anche l’iconografia e, pur disponendo ciascuno di noi di documentazione fotografica, di stampe, immagini, inevitabilmente si sentiva attratto dal desiderio di approfittare dell’occasione per ampliare la documentazione, anche fuori dai nostri personali e – nel mio caso – disordinati archivi. Avevamo inaugurato questa mostra con molti rimpianti per quello che non era stato possibile inserire oltre lo spazio assegnato (ci sarebbe voluta una quantità industriale di pannelli, oltre quelli programmati, e già numerosi), ma anche con un pizzico di orgogliosa soddisfazione. Particolarmente soddisfatto era Aldo Di Biasio, entusiasta per il lavoro che si era “inventato”, e particolarmente insoddisfatto per il di più che si era imposto di trascurare o di tagliare. Ma certi risultati gli erano apparsi tali da ripagarlo delle delusioni. E nella speranza che quel lavoro potesse trasformarsi in un volume, si era gettato su nuovi studi, seguendo una “famelicità” che non gli dava requie e tranquillità. Era certamente tra i massimi conoscitori dell’area meridionale della provincia di Latina e di quella settentrionale della provincia di Caserta, insomma di quella “Terra di Lavoro” che il fascismo aveva cancellato dalle carte amministrative nel 1927. Gli interessavano tutti gli argomenti del vivere quotidiano, gli strumenti relazionali, le strade, le poste le professioni attraverso le quali a quei risultati si giungeva. Una volta che decidemmo di scambiarci qualche pubblicazione, feci davvero una ben magra figura, di fronte alla colonna di suoi libri che mi depositò in macchina. E con la testa china su un nuovo lavoro, su un nuovo studio si trovava quando la morte ha bussato alla sua spalla. Un saluto a te, Aldo, e che la terra ti sia leggera,, come si dice. E stai, finalmente, nel riposo e nella quiete, contemplando rasserenato, se vi riuscirai, noi che ci rivoltiamo ancora dietro le piccole e grandi manìe che ci piacciono come sono piaciute a te.
Forse sta giungendo al suo naturale termine biologico l’era dei pini “fascisti”, quelli che furono generosamente piantati all’epoca della bonifica pontina. Erano gli alberi più rapidi a crescere, che garantivano un po’ di verde là dove l’Opera nazionale Combattenti aveva fatto il deserto vegetale, spiantando quasi 15 mila ettari di foresta di querce, e pensava di metterci “una pezza” ricorrendo a questa bella, elegante, ma pericolosa pianta. Ne furono impiantate alcune migliaia di esemplari lungo la via Appia, lungo le strade provinciali e interpoderali (mentre contemporaneamente venivano impiantati i filari di eucaliptus come barriere frangivento: e anche gli eucaliptus sono piante rapide a crescere, ma pericolosamente fragile, anche se ritenute miracolose contro le zanzare malarigene).
Il cattivo tempo di questi giorni, con la pioggia che ha inzuppato il terreno rendendolo molliccio e instabile, e il vento che ha spazzato le belle chiome arboree trasformandole in formidabili vele capaci di abbattere i pur robusti tronchi pinacei, ha fatto scattare l’allarme. Nella sola città di Latina sono cadute una decina di piante, e per di più nel centralissimo viale Mazzini (una è caduta addirittura su un palazzo). Fortuna ha voluto che non ci siano state vittime, ma è veramente il caso di continuare a scommettere sulla fortuna? Altri dodici pini sono stati abbattuti a raffica sulla via Litoranea, tra Borgo Grappa e Bella Farnia, ma, soprattutto, lungo la via Appia centinaia e centinaia di piante espongono gli automobilisti al rischio di diventare polpette. Alcuni anni fa una ventata ne buttò a terra 30 o forse 40 o anche più, mettendo fuori uso la Statale n. 7 per qualche giorno. E altrettanto e uguale pericolo suscitano i pini, pur maestosi e scenografici, che accompagnano la via Epitaffio, da Latina alla sua stazione ferroviaria di Latina Scalo, località che ha fatto registrare altre cadute di piante. Se solo si dà uno sguardo ai tronchi e alla loro “postura”, ci si rende conto di quante poche certezze diano quei formidabili tronchi che a volte assumono inclinazioni che suscitano seri pensieri. E quando non è il vento a fare di quei bei pini altrettante armi micidiali, sono le radici superficiali, che in primavera sventrano strade, bordi stradali e banchine. Ne sa qualcosa l’Anas, martoriata dalle riparazioni stradali a causa di quelle radici, e che ben volentieri vorrebbe assumersi una spesa per tutte: sostituire i pini con più autoctone querce, magari lecci, che crescono molto più lentamente, ma sono vigorosi nell’impianto sul terreno, e hanno un ciclo vitale infinitamente superiore ai 100-120 anni dei pini. In terra pontina abbiamo pini pericolosi, anche perché sono quasi al termine del ciclo vitale, o sono stati indeboliti alla base anche dagli incendi estivi. Ci sarà pur qualcuno che decida di interessarsi di questa non secondaria faccenda?