30 Maggio, 2014 - Nessun Commento

EMILIO LAVAGNINO E GIULIO BATTELLI, I NOSTRI MONUMENTS MEN

MADONNA DI GAETAIl film di George Clooney “Monuments Men” ha risvegliato un (assai tardivo) interesse di molti sulle vicende del salvataggio della maggior parte del patrimonio artistico dalle razzìe tedesche. Ed ha emozionato molti che in precedenza non sapevano neppure di cosa si trattava. Poco male, non è mai troppo tardi. Ora l’interesse è rinnovato dal secondo libro scritto da Robert M. Edsel, “Missione Italia. La sfida per salvare i tesori d’arte trafugati dai nazisti”. Ma se erano ignote molte di quelle vicende, altrettanto lo sono state e lo sono quelle che riguardano quanto è avvenuto nel Lazio e in provincia di Latina: si ripetono qui emozioni e sorprese di chi ha finora ignorato che quello stesso problema di salvaguardia di beni artistici c’è stato anche per le province laziali, e non è stato da poco, sol che si pensi alle straordinarie ricchezze che si trovavano, al momento della guerra, custodite in musei, chiese, edifici storici. In provincia di Latina le razzìe sono state compiute senza distinzione di tipologia artistica. Il museo aurunco voluto da Pietro Fedele (in verità si trovava nella campana torre di Pandolfo Capodiferro, affacciata sulla riva sinistra del Garigliano, fatta saltare in aria dalle truppe germaniche nell’autunno del 1943) fu quasi totalmente trafugato. Solo pochi anni fa è stata ritrovata a Fiuggi – dove forse era stata dimenticata – una preziosa reliquia riacquisita al nostro Paese. Dal comune di Terracina sono scomparsi i busti dello scultore danese Bertel Thorvaldsen. Da Sabaudia un celebrato dipinto del pittore Bicchi, “Riposo sui gradini della cattedrale”; da Littoria buona parte dei dipinti della Pinacoteca civica donati alla Città fascista da altre città italiane: quasi sempre opere di pittori del Novecento (ma altri dipinti presero vie, per così dire, domestiche). Nel sud, soprattutto a Gaeta, Minturno, Fondi si trovavano nelle ricchc chiese che ricordavano una potenza perduta nella materialità ma conservata nella sostanza dei beni artistici, si custodivano opere del Meung, di Girolamo Siciolante, Antoniazzo Romano, Cristoforo Scacco, Giovanni da Gaeta, Sebastiano Conca e di molti altri Autori. I Monuments Men alleati non si occuparono di queste opere, che, invece, furono recuperate e salvate da “nostri” Monuments Men, inviati dal Vaticano a raccogliere e portare a Roma le maggiori opere, che furono poi restituite a fine guerra, spesso restaurate. Dal Duomo di S. Erasmo in Gaeta, dalle chiese della SS Annunziata, di S. Francesco e dei mille altri luoghi-museo; a Fondi dalla ex cattedrale di San Pietro, dalle chiese di S. Maria Assunta, di S. Francesco e altre, e un po’ in tutta la Provincia vennero, con mezzi assai meno organizzati dei Monuments Men alleati, i nostri allora giovani studiosi, ricercatori, archivisti a raccogliere beni straordinari: lo Stendardo di Lepanto (poi restaurato in Vaticano ed ora di nuovo nel Duomo gaetano), e tanti altri dipinti che oggi possono ammirarsi ancora negli stessi luoghi da cui furono prelevati nell’autunno del 1943.

Questo prezioso lavoro fu compiuto soprattutto da Emilio Lavagnino (ed è ricordato nel libro di Raffaella Morselli “Fuori dalla guerra. Emilio Lavagnino e la salvaguardia delle opere d’arte del Lazio”; e da Giulio Battelli, scomparso solo qualche anno fa alla bella età di 104 anni. Sono loro i nostri Monuments Men, ahimé dimenticati se non del tutto sconosciuti. Meriterebbero certamente il rispetto di un ricordo.

 

29 Maggio, 2014 - 1 Commento

I PROGETTI CHE FREZZOTTI NON REALIZZO’ A LITTORIA

cefaly 1Venerdì 30 maggio p.v., dalle ore 15 alle 19, presso l’Archivio Centrale dello Stato diretto dal dottor Agostino Attanasio, si svolgerà un seminario dedicato a “Viaggio nell’Italia del secondo Novecento dagli Archivi all’Architettura”. Tra i temi in programma ce n’è uno che riguarda anche Latina, anzi Littoria, ossia la città di origine fascista. Nell’articolo che segue, ospitiamo un’anteprima che lo stesso architetto Cefaly dedica al suo argomento, che riguarda i progetti di edifici che Oriolo Frezzotti, che disegnò il volto urbanistico della “città nuova”, elaborò, ma che non poterono essere attuati. Essi configurano una idea di oggettivazione dell’auctoritas fascista, così come avrebbe dovuto esprimersi attraverso edifici pubblici. Nelle foto tre dei progetti non realizzati (Casa dell’Architettura, Latina).

di Pietro Cefaly

cefali2Tra il 1934 e il 1938 Oriolo Frezzotti, che disegnò il Prg di Littoria, elabora diversi progetti per il centro della Città, nuovo capoluogo di provincia. Sono tutti edifici “rappresentativi”, mai realizzati, che offrono spunti per una valutazione più attendibile non solo sulle vicende storiche connesse alla costruzione della città, ma anche sul significato simbolico che l’architettura sostanzia – a Littoria in particolare – segnando il definitivo passaggio dal carattere “agreste” del borgo originario all’aulica rappresentazione dell’auctoritas espressa in termini formali dai nuovi edifici pubblici del capoluogo di provincia. L’adeguamento alle necessità di rappresentanza delle nuove funzioni pubbliche (Palazzo del Governo, Palazzo di Giustizia , uffici finanziari e sede della Banca d’Italia) era impresa quanto mai ardua vista l’esiguità del costruito messo in gioco. Inoltre, al 1934, il nuovo comune di Littoria aveva ancora un aspetto assai simile ad un agglomerato di frontiera ed i pochi edifici esistenti – il Palazzo comunale, l’albergo, la sede della Milizia ed il Dopolavoro – componevano una fragile quinta sulla piazza del Littorio. Un lato di essa, aperto, lasciava intravedere la scuola, irraggiungibile, separata com’era dal centro da un pezzo di campagna.

Frezzotti, come testimoniano le diverse ipotesi elaborate per la piazza del Littorio (oggi piazza del Popolo), procede per tentativi: modella e distribuisce gli edifici secondo un pragmatismo che affida il risultato complessivo della composizione esclusivamente alla soluzione planimetrica. Con i disinvolti espedienti dell'”ornato cittadino” tutti i nuovi edifici – nelle diverse soluzioni – tentano di trovare una sistemazione al centro, a conferma della volontà ostinata di riconoscere quell’unica piazza come un luogo assoluto, certo e totale.

cefali3Ma difficilmente piazza del Littorio, così modesta nel tono delle costruzioni già realizzate per il “comune rurale” poteva essere il luogo della rappresentazione dei valori universali dello Stato: valori che dovevano necessariamente identificarsi in un’architettura di per sé rappresentativa, autonoma nella modificazione linguistica rispetto alla qualità rurale delle costruzioni esistenti. Non è un caso, infatti, che la soluzione che verrà adottata per il palazzo del Governo e il Palazzo di Giustizia, sarà quella di isolarli come oggetti e di esaltarne l’autorità. La dicotomia stilistica tra l’Heimatstil dell’impianto originario e l’espressione aulica dell’auctoritas dei nuovi edifici pubblici – nei due anni trascorsi dalla prima stesura del piano – è l’ipoteca che vincolerà l’immagine definitiva di Littoria , che individuerà la contraddizione storica fra il borgo rurale e la città nuova.

In questo contesto vanno inquadrati altri progetti elaborati, in quegli stessi anni, per la sede della Casa del Fascio e per una nuova caserma della Milizia, in sostituzione di quella appena realizzata. Si tratta, anche in questo caso, di due edifici imponenti: il primo occupa l’intero isolato a ridosso del Palazzo degli uffici finanziari, l’altro prospiciente piazza Roma, dove nel 1938, verranno invece realizzate le case INA di Paniconi e Pediconi.

 

7 Maggio, 2014 - Nessun Commento

NEL 2015 LA CITTA’ DI LATINA FESTEGGERÀ I 70 ANNI DEL SUO NOME

littoriaLATINA – Immersi, come siamo, nella pluralità delle ricorrenze di quest’anno (I e II guerra mondiale, in primis) a chi vive a Latina ricordiamo un altro importante anniversario, che dovrebbe avere la buona sorte di chiudere una polemica onomastica che, davvero, e a prescindere dalle posizioni politiche, non ha più nulla da dire. Intendo parlare dei 70 anni che nel prossimo anno 2015 la città di Latina (nata originariamente con il nome di Littoria, inequivocabilmente legato ad una parte politica, come l’ormai scomparsa “littorina”) si appresta a festeggiare nella nuova e definitiva denominazione.

Fu, difatti, nel 1945 che il nome venne modificato, ed è, quindi, nel 2015 che quel nome compie 70 anni di vita importante, essendo essa, da ultima città, divenuta la seconda città del Lazio.

Ricordiamo le date di quel cambiamento: a rigettare un nome legato troppo al regime fascista che fu anche il movimento politico che ne provocò la semidistruzione, la morte di molti cittadini, la loro dispersione, si cominciò a parlare fin dall’autunno del 1944, quando in lettere ufficiose si accennò alla “città nuova” col nome di Latina. Ne parlò persino il Ministero dell’Interno, peraltro in modo inconsapevole, come si ricava dalla lettura del documento in cui quel nome fu inserito.

Ma l’ufficialità si ebbe con questa sequenza: il 27 gennaio 1945 il Commissario prefettizio avanzò di Littoria avanzò istanza di cambiamento del nome al Governo; il 31 gennaio si pronunciò la Deputazione provinciale (una sorta di Consiglio provinciale ante-litteram) che dette parere favorevole: su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri – Ministro per l’Interno, con decreto 9 aprile 1945, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 7 giugno 1945 decretava: “Il comune di Littoria, in provincia di Littoria, è autorizzato a modificare la propria denominazione in “Latina””,

I tentativi di ripristinare il nome originario non hanno più alcun motivo, quanto meno per una buona e solida ragione: Littoria è una città durata 12 anni; Latina è una città che dura (a oggi) da 69. Ma quanti sono coloro che sono nati a Littoria e coloro che sono nati a Latina? Siamo seri. Ci attendiamo iniziative dal Comune, magari anche attraverso una buona rilettura della storia.