INPS, BUROCRAZIA E RISERVATEZZA
E QUALCHE SPESA EVITABILE
Questa storia è capitata a chi scrive. L’Inps gli richiede un certificato medico che, come tutti i certificati medici, a prescindere, è considerato “dato sensibile” e, quindi, soggetto al dovere di riservatezza, la c.d. privacy.
Il certificato viene portato alì’Inps, dove, dopo una fila insopportabile e inevitabilmente disordinata e a tratti litigiosa appena temperata dalla disponibilità dell’impiegata addetta a premere il pulsante che assegna il numeretto all’utente, a seconda del servizio richiesto (com’è noto, questa cosa ormai la fanno tutti senza intermediario: nelle banche, all’Agenzia delle Entrate, a Equitalia, negli uffici postali).
Ricevuto il numeretto, inizia l’attesa del turno, che, fortunatamente, non dura molto. All’impiegato Inps viene, dunque, presentato il certificato unitamente alla lettera di richiesta fattane dall’Inps stessa. Ma l’impiegato è cortesemente definitivo: “Non posso ritirare il documento”. “E perché?”. “Perché non abbiamo lo scanner per leggere il “codice a barre” che contrassegna la persona interessata”. “Ma la persona è identificabile … di persona, e magari anche con i normali documenti. O magari leggendo il codice alfanumerico impresso sopra il codice a barre”. “Lei ha ragione, ma io non posso ritirare il suo certificato”. “E a chi lo consegno?”. “Può andare in un qualsiasi CAAF”. Fine della conversazione.
L’utente esce, imbocca il primo CAAF che capita, si mette in fila tra gente impegnata in dichiarazioni IMU e Irpef, poi, quando arriva il suo turno, spiega cosa gli occorre. Una giovane impiegata del CAAF risponde:” Puoi lasciarlo a me”. Dopo la prima sorpresa nel sentirmi apostrofare col tu, anche per una certa quale differenza di età tra i miei bianchi capelli e i suoi giovanili capelli castani:”Ma io debbo lasciare una certificazione medica, che è soggetta a riservatezza”. “Allora devi aspettare”. Aspetto. L’attesa dura quanto un’attesa da fila, poi si apre la porta magica ed inizia un nuovo colloquio con l’impiegato assegnato: “Debbo consegnare un certificato all’Inps…, così e così”. “Ma noi spediamo solo on-line e non il cartaceo”. “Ma io ho solo il catrtaceo, e qui mi manda l’Inps”. Esitazione, ragionamento silenzioso, poi: “Vabbe’, lasci qua, poi domani lo passo al Patronato che penserà a consegnarlo all’inps”. Fine della conversazione.
E il “delicato” certificato medico passa nelle mani di un impiegato di una privata associazione, che dovrebbe dare garanzie di riservatezza (e si spera che le rispetti), e quell’impiegato lo passerà nelle mani di un altro impiegato sempre della stessa organizzazione che poi lo consegnerà all’Inps. Spero.
Domanda: ma perché una persona deve affidare i propri riservatissimi dati ad una persona sconosciuta e, soprattutto, non appartenente all’ente pubblico che ne ha fatto richiesta, ma che “non può ritirarlo”? Non c’è altro da aggiungere. Anzi, no.
Ritirare quel certificato è costato all’utente non solo due file anziché una, un servizio ricevuto senza garanzie, ma anche un servizio che gli è costato di più. Perché se l’Inps affida al CAAF un compito elementare che gli apparttiene, poi dovrà pagarlo al CAAF (e lo paghiamo noi). Ma non sono anche questi piccoli, ripetuti sprechi che confermano che la burocrazia si avvolge in se stessa, in spirali sempre più complesse, pubnblico-private,e costose. E inutili O no?